di Carlo Rovelli*
Il Papa è venuto in visita nella mia città. Con mio stupore, ne sono stato felice. Su queste pagine, questo apparirà forse come un commento banale. Non lo è per me: sono cresciuto guidato da valori che mi sembravano lontani da quelli della Chiesa. Non sono mai stato credente, e non lo sono neanche oggi. Ma il mondo è cambiato, forse io sono cambiato, forse la Chiesa è cambiata, e oggi mi sento con stupore vicino alla Chiesa, alla sua guida morale, come non avrei mai creduto potesse diventare possibile. E credo, lo dico sottovoce, che siano oggi in molti, che erano molto lontani dalla Chiesa, a sentirsi così.
Sabato a Verona, la città dove sono cresciuto e ho vissuto tutta la prima parte della mia vita, il Papa ha raccolto attorno a sé una grande folla variopinta ed emozionata, animata dalle parole di pace, giustizia, dall’esortazione ad andare controcorrente, dalla denuncia di chi fomenta la guerra per lucrare, di chi fabbrica armi. Era una folla che sentivo fraterna. Nel momento più intenso della giornata, due uomini hanno preso la parola: «Sono Maoz Inon, vengo da Israele. Il 7 ottobre 2032 Hamas ha ucciso i miei genitori»; «Sono Aziz Abu Sarah, vengo dalla Palestina. Mio fratello è stato ucciso dai soldati israeliani». Poi si sono abbracciati. Diecimila persone vocianti nella grande Arena sono ammutolite. Poi si sono sciolte in un interminabile applauso. Io non sono riuscito a trattenere le lacrime. Il dolore del mondo. La follia del mondo. E l’unica via per affrontarla... Il Papa li ha guardati commossi. Li ha abbracciati entrambi.
Questo è il mondo che vogliamo. Il Papa ha parlato dei conflitti, ha esortato a non averne paura. Ad affrontarli parlando, cercando di comprendere le narrazioni opposte, il punto di vista di chi sta dall’altra parte, le sue paure, guardando le persistenti ingiustizie che nutrono i lunghi risentimenti, abbassando le armi, pensando al dolore immenso e reale degli esseri umani, cercando i punti di convergenza, i valori condivisi che ci fanno umani.
Questo è il mondo che vogliamo. Un mondo in cui l’umanità sappia vivere insieme in pace, affrontare gli inevitabili conflitti con il dialogo e la diplomazia, costruire insieme il bene di tutti e affrontare insieme i problemi comuni, come l’emergenza ambientale che incombe.
Vogliamo leader politici capaci di andare in questa direzione, come ce ne sono stati nel passato. Questo è il mondo auspicato dai fondatori delle Nazioni Unite. È il mondo di cui parla il Papa. È il mondo che sognano e per il quale provano a impegnarsi le diecimila persone presenti sabato nell’Arena di Verona, le innumerevoli associazioni, movimenti, e organizzazioni che lo splendido vescovo di Verona ha coinvolto per costruire insieme la manifestazione.
Ma non è questo il mondo che stiamo costruendo. Il mondo che stiamo costruendo è fatto di milioni che tuttora vivono nella miseria, di una scandalosa e crescente disparità di beni, della follia delle armi atomiche che ci stanno sul capo come una spada di Damocle, e che ora abbiamo ricominciato a costruire più numerose. È fatto dal dilagare delle guerre, da tempo non così tante come ora, dal dolore che generano, dal devastante balzo in avanti delle spese militari ovunque, e soprattutto dal guardare sempre più in cagnesco gli altri potentati della Terra.
Siamo in un mondo dove i nostri governanti, invece di cercare di risolvere conflitti senza spargere sangue, parlando e cercando i punti di equilibrio, dicono invece sempre più spesso di voler abbattere il nemico, qualunque sia il costo di sangue e di dolore. Un mondo che a me sembra si stia avviando verso un’altra delle sue regolari esplosioni di follia, quando periodicamente ci massacriamo a milioni, ciascuno convinto di essere nel giusto.
Eravamo tanti sabato nell’Arena di Verona, a cercare gli uni negli altri la forza del sogno di un mondo migliore. Il Papa era in mezzo a noi, con il suo consiglio e la sua parola che arriva forte a tanti cuori. Ma siamo pochi nei nostri paesi. La politica va in un’altra direzione, la stampa va in un’altra direzione.
Il potere, e chi lo segue e ne dipende, vanno in un’altra direzione. I più, temo, preferiscono chiudere un occhio sul dolore del mondo, sulla rapacità dei potenti, sui rischi della nostra arroganza, perché, alla fine, quelli che sono difesi con la violenza, sono i nostri privilegi. Lo scrivo con tristezza, non so se sia vero. La miopia è curabile, la miopia dell’egoismo mi sembra letale.
Non è la prima volta che questo Papa mi stupisce. L’ho incontrato brevemente anni fa, in occasione di una conferenza scientifica a Castel Gandolfo. Allora il nemico di turno dell’Occidente era l’Islam, io provai a suggerire al Papa di essere più esplicito con il suo popolo, nell’esortarlo a non considerare i musulmani come nemici. Con mio stupore, lo fece pubblicamente qualche giorno dopo. E quando ho cercato — ahimé senza esito alcuno —, raccogliendo l’appoggio di colleghi di scienza, di promuovere l’idea di un possibile negoziato globale per un disarmo bilanciato, che libererebbe un colossale dividendo di pace con sui potremmo insieme risolvere la miseria estrema e coprire i costi dei rimedi al riscaldamento climatico, il Papa ci espresse il suo sostegno.
Ma il regalo più grande, per me, è stato sabato, dopo l’incontro in Arena. La mia città lo accoglieva con governatore, sindaco, alti prelati e ogni sorta di vip. Ma Francesco è andato a pranzare con i detenuti nel carcere della città. Per questo segno l’ho amato, e ho riconosciuto in lui i valori che mi sembrano i più forti e i più sacri.
Da ragazzo volevo cambiare il mondo, sognavo un mondo più giusto, sognavo abolire privilegi, confini, eserciti, sfruttamento. La Chiesa mi sembrava uno degli ostacoli. Ora non più, e il Papa lo sento, con stupore, in un mondo sempre più cieco, come un saggio fratello maggiore.
* in “L’Osservatore Romano” del 20 maggio 2024