I cristiani non perdano il fascino della fraternità e sentano come attraente la comunione fraterna
Pubblicato su: Vita Pastorale aprile 2024
di Enzo Bianchi
È mia convinzione che la crisi della Chiesa, oggi evidente e sempre più profonda, sia determinata da due fattori: dal venir meno della fede e dalla mancanza di fraternità. Non solo il processo di secolarizzazione in atto, non la pandemia, non gli scandali della Chiesa, ma proprio la “debolezza della fede” e la “mancanza di fede”, e con essa il venir meno dei legami fraterni nella comunità cristiana, determinano la crisi.
Tomáš Halík, un teologo ceco, nel suo libro Quaresima e Pasqua di un’epoca inquieta, vede con grande speranza una rinascita del cristianesimo, una resurrezione dalla secolarizzazione, dalla pandemia e dagli scandali. A una condizione: che ci sia nella Chiesa una cura della vita spirituale e si punti, dunque, sulla spiritualità.
Può darsi che questa ipotesi sia feconda per il popolo ceco, non credo però che da noi, in Europa occidentale, sia possibile applicare questa diagnosi, perché ciò che vediamo è che la fede non è presente, che anche quelli che si dicono cattolici non vivono il primato della Parola e del Vangelo. Anzi, (lo affermano alcune inchieste!) non credono neppure alla resurrezione di Gesù Cristo e alla resurrezione dei morti nel giudizio finale. E accanto a questo: assemblee liturgiche anonime, senza fare esperienza dell’amore fraterno e senza esercitarlo. Mi è sembrato, invece, un segno importante che il vicepresidente Cei, Erio Castellucci, in una recente relazione, abbia affermato: «Meno ecclesialese e più Vangelo, più linguaggio evangelico». Il che significa ribadire il primato, la centralità, l’egemonia del Vangelo nell’operare della Chiesa.
Il venir meno della fraternità, poi, costituisce una vera minaccia per la vita cristiana. Che la Chiesa sia una “fraternità” è proclamato da tutto il Nuovo Testamento, ma in proposito resta significativo l’apporto della Prima lettera di Pietro. In questo testo, la Chiesa è letta come «edificio spirituale, gente santa, sacerdozio regale e popolo di Dio» (cf 1Pt 2,4.9). Essa è anche chiamata adelphótes, che intende designare una realtà, uno status, e non la virtù corrispondente, indicata con il termine philadelphía, “amore fraterno”. Pietro, l’apostolo sul quale Gesù ha edificato la sua Chiesa, non la definisce con il termine ekklesía, ma ricorre a adelphótes, “fraternità”. Egli invita ad amare la fraternità, cioè la comunità ecclesiale: «Onorate tutti, amate la fraternità, temete Dio» (1Pt 2,17).
“Fraternità” non è, dunque, un’immagine, una virtù, ma designa la realtà stessa della Chiesa generata da Gesù Cristo, una realtà presente nel mondo come Chiesa locale e Chiesa cattolica. La chiesa è una comunità di fratelli (adelphótes) in cui si vive la philadelphía, l’amore fraterno.
Colpisce il fatto che già nella Lettera di Clemente ai Corinti (fine I secolo d.C.) sia attestata la ricezione di scritto, l’autore ammonisce i suoi destinatari come segue: «Voi siete in lotta giorno e notte a favore di tutta la fraternità» (2,4), cioè di tutta la Chiesa. E così per tutto il II secolo in oriente e in occidente il termine adelphótes, “fraternità”, designa la Chiesa locale e la Chiesa universale che i cristiani hanno il dovere di riconoscere e amare. Nel III secolo Tertulliano e Cipriano designano la Chiesa come fraternitas, in latino.
Ma verso la fine del III secolo il termine “fraternità” come definizione della Chiesa tende a scomparire.
E il titolo di “fratelli” non designa più i membri della comunità cristiana, dei battezzati. Viene invece applicato ai vescovi, ai chierici e ai membri delle comunità monastiche, nelle quali appare anche il termine “Abba”, riferito alla guida spirituale che raduna intorno a sé dei discepoli. Si tratta di una riduzione all’ambito clericale e monastico di un termine che, invece, riguarda ogni cristiano e la Chiesa tutta. Dispiace molto che il termine “fraternità” in seguito sia praticamente scomparso e ancora oggi non si sia sufficientemente attestato come luogo eminente di ecclesiologia.
Per un altro verso, si deve salutare con gioia il riemergere di questo tema nell’Evangelii gaudium di papa Francesco (2013). In questo testo sono numerose le indicazioni riguardo all’urgenza di una Chiesa fraterna, cioè fatta, costruita, vissuta, sentita come comunità di fratelli e sorelle. Francesco parla di “Vangelo della fraternità”, chiede che non ci si lasci rubare l’idea- le dell’amore fraterno, desidera che i cristiani non perdano il fascino della fraternità e sentano come attraente la comunione fraterna. Il Papa evoca addirittura l’immagine di una Chiesa come “carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”, dove tutti insieme si cammina per le strade del mondo condividendo le fatiche e le gioie del duro mestiere del vivere. Egli scrive: «Sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità» (EG 87). È la fraternità concreta, contro ogni “individualismo morboso”, fraternità vissuta con il corpo, quando il volto incontra un altro volto, quando la mano stringe un’altra mano, in “una rivoluzione di tenerezza”.
Per questo, citando ancora una volta il Papa, «il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, [...] che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loroPadre buono. Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un “piccolo gregge”(Lc12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia “saledella terra” e “luce del mondo”. Sono chiamati a dare testimonianza di un’appartenenza evangelizzatrice sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità» (EG 92)! In Evangelii gaudium, come in altri testi di Francesco, la fraternità è Cristo nella carne, è Cristo nei fratelli e nelle sorelle, soprattutto nei più deboli, nei poveri, negli ultimi, gli esclusi della terra. Si scopre Dio in ogni essere umano, perché non vi è esperienza autentica di Dio all’infuori di un’esperienza di umanità.
Impressiona la concretezza della fraternità intravista dal Papa, che sottintende che la mancanza di contatto fisico e di incontro reale con il fratello o la sorella provochi una sorta di “cauterizzazione” della coscienza e spinga a un distacco dalla realtà.
Perciò nella fraternità cristiana che è la Chiesa, tutti devono essere ascoltati, ne hanno il diritto, perché la Chiesa come popolo di Dio in cammino raduna uomini e donne che nella forza dello Spirito, dovuta all’unzione santa, hanno in loro un istinto della fede, il sensus fidei, che li rende infallibili in credendo, nella fede. Tutti, anche i più semplici, nella Chiesa credendo non sbagliano – dice Francesco –, anche se a volte non trovano le parole per esprimere la loro fede con precisione. Una chiesa come quella che vuole il Papa sarà dunque sinodale, capace cioè di fare cammino insieme, dal Papa ai vescovi, ai presbiteri, fino all’ultimo fedele. Dicevano i pagani in riferimento ai primi cristiani: «Guarda quanto si amano!».
E papa Francesco vuole che lo si dica anche oggi, vuole che lo dicano i non cristiani guardando a una Chiesa fraterna.