Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Ritorno del sacro e differenza cristiana

03/05/2024 00:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2024,

Ritorno del sacro e differenza cristiana

Vita Pastorale

Lo spazio di Dio non è un tempio, non è nelle azioni religiose, ma nelle relazioni tra gli esseri umani

Pubblicato su: Vita Pastorale  maggio 2024

 

di Enzo Bianchi

Continua nella Chiesa il dibattito sul “sacro” e sul suo necessario riconoscimento nella vita cristiana. Purtroppo, c’è un’ambiguità nella parola “sacro” e, di conseguenza, una molteplicità di comprensioni diverse. Molti oggi parlano della necessità del ritorno del sacro nella liturgia, accusano la liturgia attuale dovuta alla riforma conciliare di essere priva del sacro e, dunque, le attribuiscono la responsabilità della loro incapacità di pregare e di mettersi in comunione con il Signore. Ora, proprio per il perdurare

di tante polemiche, ritorno su questo tema ricordando che se “sacro” significa alterità da riconoscere e da rispettare, allora possiamo affermare che il sacro è cosa buona. Ad esempio, la percezione che lo spazio liturgico è altro rispetto allo spazio della nostra vita ordinaria è cosa buona e necessaria. Così come tenere in mano il pane eucaristico è tenere in mano non pane ordinario ma il corpo del Signore. Gli esempi potrebbero essere molti, senza però far coincidere questa consapevolezza con la concezione degli esperti della religione che definiscono il sacro come ciò che appartiene a uno spazio separato, intangibile, inviolabile, che deve ispirare paura, timore e rispetto.

 

Qui dobbiamo essere chiari e non aver paura di affermare la differenza cristiana rispetto al sacro delle religioni. Su questo punto c’è anche una rottura tra Antico e Nuovo Testamento, tra Torah e Vangelo! Gesù nella scia dei profeti ha combattuto questa concezione del sacro. Se per la Torah sacro è uno spazio per Dio come il tempio, e quindi sacre sono tutte le regole connesse al tempio e al suo funzionamento, per Gesù il sacro va cercato altrove. Per questo egli dichiara che il tempio non è più il luogo di adorazione di Dio, e lo purifica per ridargli unicamente lo scopo voluto da Dio: casa di preghiera per tutte le genti, tutta l’umanità!

 

Se il fondamento e la dinamica del sacro era la “separazione”, in Gesù al contrario ciò che è necessario è la solidarietà, la comunione che lotta e resiste contro ogni separazione. Gesù non è stato fatto sacerdote e sacerdote di sacerdoti, separandosi dal popolo, separandosi dalla tribù di Levi, separandosi dai sacerdoti (tribù di cui non faceva parte!). Ma con un movimento inverso è disceso, si è spogliato; da Dio che era si è fatto uomo come noi, carne fragile, debole e mortale. Se il Sommo sacerdote dal popolo saliva sempre più verso il Santo, Gesù dal Santo, dalla santità divina che possedeva è sceso fino a essere annoverato tra i peccatori come maledetto da Dio e dagli uomini – dice l’apostolo Paolo – per essere in piena solidarietà con noi. Una solidarietà che instaura la purificazione, rimette i nostri peccati e ci fa appartenere a lui.
 

Ecco perché Gesù dichiara che lo spazio di Dio non è un tempio, non è nelle azioni religiose, ma nelle relazioni tra gli esseri umani, nel vivere il comandamento ultimo e definitivo: «Amatevi tra di voi, come io vi ho amato!» (Gv 13,34), nel servizio reciproco e soprattutto in quello fatto agli ultimi, ai più poveri.

 

Nella parabola di Luca 10,29-37, detta “del buon samaritano”, Gesù ci ha svelato che il sacro non sta dove il sacerdote e il levita lo pensano e perciò si sentono esentati dal fare misericordia all’uomo incappato nei banditi: un uomo insanguinato o morto era impuro e sarebbe stato un vero impedimento al loro esercizio del culto al tempio. Invece è proprio un eretico, un samaritano che facendo misericordia, curando e aiutando quel povero disgraziato, compie un gesto di salvezza osservando la Torah, il comandamento dell’amore del prossimo. È nel suo gesto che va cercato il sacro, gesto di obbedienza al Signore che vuole la comunione con tutta l’umanità, con tutta la creazione.

 

Il sacro si situa, innanzitutto, nella relazione con gli altri e per questo il tempio materiale deve cedere il posto al tempio che è il nostro corpo, corpo individuale e corpo sociale cioè la comunità cristiana.
 

Lo spazio sacro è ciò che Gesù indicava: il suo corpo; è ciò che Paolo individuava nel corpo dei cristiani, corpo di Cristo e tempio dello Spirito santo. Non dovremmo dimenticare l’ammonizione di Paolo ai Corinti: «Voi quando vi radunate anche per la celebrazione eucaristica voi non siete il corpo del Signore!» (cf 1Cor 11,18-20). Perché i Corinti facevano un pasto, un’azione religiosa e cultuale, ma non realizzavano esistenzialmente nel loro corpo personale e comunitario ciò che facevano nel nome di Gesù Cristo, non vivevano la comunione fraterna. Se cercassimo il sacro nel nostro radunarci per essere edificati quale corpo di Cristo e per essere luogo di comunione per tutta l’umanità, noi saremmo nella verità cristiana. Perché il nostro movimento dalla separazione alla comunione è l’azione che Dio compie nella storia per tutta l’umanità da lui creata e amata nel suo Figlio Gesù Cristo.
 

Se viviamo questa sacralità sapremo anche vivere il senso dell’alterità necessario per accostarsi allo spazio dedicato alla preghiera, per il culto e la liturgia, per celebrare con stile e non in modo sciatto o addirittura mondano. Molti dei nostri fratelli che rimproverano alla Chiesa la perdita del sacro sono turbati da liturgie in cui non c’è più riverenziale primato della Parola e della presenza del Signore: c’è, purtroppo, un grande protagonismo di chi presiede la liturgia con azioni e invenzioni sciocche e, a volte, irrispettose di ciò che si celebra.

 

Spesso c’è un chiacchierare ecclesiale che non lascia spazio al silenzio dell’ascolto e non c’è né rigore né stile nel celebrare il grande mistero dell’eucaristia. Io comprendo quanti si lamentano della perdita del sacro. Ma sono convinto che se conoscessero il sacro come l’ha vissuto Gesù e come lo dovrebbe vivere la Chiesa non avrebbero la difficoltà che denunciano.
 

Comunque impressiona come il lemma “sacro” sia oggi usato per indicare diverse urgenze della fede e della liturgia vissuta. È strano, ma anche alcuni che si definiscono “non credenti” rimproverano alla liturgia cattolica la perdita del sacro. Occorre, dunque, una chiarezza su questo tema che aiuti i cristiani al discernimento del sacro, che non è il misterioso, non è il magico, ma è un locus privilegiato per la comunione con Dio. Incensare durante la liturgia non è compiere un’azione sacra, ma un’azione umanissima nella quale i cinque sensi umani partecipano a un’esperienza “altra”, nella quale fumo e profumo ci indicano la comunione della nostra liturgia con la liturgia del cielo. Fare con arte un inchino verso la croce o l’eucaristia non è compiere un’azione sacra ma porre il nostro corpo in adorazione del Signore con timore e ringraziamento.
 

Vestire dei paramenti semplici ma eloquenti da parte dei presbiteri durante la liturgia non è usare “paramenti sacri” ma fare segno e portare a comprendere che chi presiede l’assemblea è il Signore!

 

La Chiesa primitiva si vantava di non aver bisogno del sacro come i pagani per rendere culto al suo Signore. Noi, purtroppo, in molti casi ci siamo fatti eredi del culto pagano in usanze che chiamiamo espressioni della religione o del culto popolare. Già Isaia profeta insisteva presso Israele denunciando come il popolo di Dio desse valore sacro al sabato e ai giorni di digiuno, ma non praticasse la giustizia, non condividesse il pane con l’affamato, non accogliesse in casa il senzatetto, non vestisse chi è nudo! (cf Is 58,3-10). Il sacro per noi discepoli di Gesù si situa innanzitutto nella relazione con gli altri. Anche questo è cristianesimo, la «religione dell’uscita dalla religione» (M. Gauchet).

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