La Repubblica - 17 Giugno 2024
di Enzo Bianchi
Papa Francesco in due recenti occasioni, parlando ai vescovi e riferendosi ai candidati all'ordine presbiterale, ha segnalato la possibilità del diffondersi nei seminari di alcune patologie. Nonostante le interpretazioni date alle sue parole, occorre dirlo, il Papa non ha inteso né disprezzare né emettere condanne nei confronti di coloro che hanno uno stesso orientamento sessuale, né voleva esprimere giudizi nei confronti degli omofili ma, avendo presente ciò che ha potuto conoscere dei luoghi preposti alla formazione dei preti, ha stigmatizzato alcune situazioni a volte verificatesi: gruppi che sono sedotti dal femmineo, nei quali facilmente si costituiscono complicità e logiche da lobby, che si occupano di anelli, di pizzi, di vesti filettate di porpora come gli eunuchi delle corti imperiali. Inutile negare queste presenze anche perché molto visibili per la loro ostentazione nelle corti ecclesiastiche.
Papa Francesco sa che, secondo le parole di Gesù, ciò che è essenziale nella vita celibataria del discepolo è la capacità di non coniugarsi e il non voler essere coniugato. Solo se il discepolo per il Regno dei cieli sa vivere in una tale situazione di “eunuchìa” allora può far spazio alle parole di Gesù, allora il celibato è possibile, evangelico e fecondo. Come non è ammesso in un presbitero uno stile machista, così non è possibile accettare un atteggiamento femmineo. Certo, Gesù dichiara che ci sono anche eunuchi fatti dagli uomini ed eunuchi nati tali e a questi non vieta la sequela come non la propone. Purtroppo il celibato che è un dono, un carisma e non può essere solo una scelta dettata dalla volontà, la decisione individuale di una persona, sovente non è compreso nel suo fulcro evangelico: lo si pensa solo come continenza sessuale, come non esercizio genitale e ci si dimentica che è innanzitutto una capacità del cuore a “non desiderare l'altro” perché questo è già adulterio.
Non si può neanche dimenticare che se il celibato è scelto solo come impegno non distratto dalle preoccupazioni per la moglie, i figli e gli obblighi coniugali, allora è menomato. Risponde solo a un “egoismo che si vuole ascetico”, ma in realtà si è dominati da un narcisismo spirituale che porta a compensare la privazione sessuale in tanti modi: con la carriera ecclesiastica che è la lussuria dell'io, esercitando il potere dominando le coscienze e ricevendo incensazioni come tutti gli idoli.
Il carisma del celibato del discepolo, qualunque sia il suo orientamento sessuale, può essere facilmente pervertito in una finzione che garantisca sicurezza, egocentrismo e potere. Papa Francesco è preoccupato che il celibato dei presbiteri sia umanamente maturo, sano, fecondo e sia spiritualmente vissuto come sequela del Signore.
Se oggi le vocazioni alla vita presbiterale sono più rare è anche grazie a una comprensione del celibato più profonda e più cristiana, meno tentata da ipocrisie e da cammini che portano a esiti di doppia vita. Certo, non è facile comprendere il celibato proposto da Gesù: “Chi può capire capisca!“ ha detto, mettendo in risalto che il celibato non è per tutti e non fa parte della vocazione di tutti i discepoli.
Chi lo ha vissuto tutta una vita e ha ascoltato nella comunicazione spirituale le fatiche e le grazie dei fratelli e delle sorelle, sa che il celibato può essere accompagnato da una grandezza, ma anche da una miseria. Sa anche che il Signore è più grande del cuore del cristiano: un cuore malato e fragile, mai capace di rispondere adeguatamente alle chiamate del Signore. Ma non si dimentichi: il celibe per il Regno non si coniuga né affettivamente, né psicologicamente, né con la famiglia, né con gli amici, né con gli altri... Certo, sono possibili affetti umani perché il Signore non è totalitario ma chiede che lo si ami al di sopra di tutto e di tutti.