di Mauro Magatti*
Non c’è immagine più iconica per cogliere la fine di un’epoca politica del dibattito presidenziale tra un Biden affaticato, tentennante, disperatamente teso a dare una lettura razionale ma troppo scialba della realtà e un Trump condannato, spavaldo, presuntuosamente sicuro di possedere le soluzioni a tutti i problemi del nostro tempo.
Si potrebbe continuare guardando la Francia, dove il governo di un presidente illuminato e colto rischia di finire malamente, consegnando il paese a un Rassemblement National che raccoglie a piene mani il risentimento popolare.
Occorre prendere atto che la crisi strutturale del modello della globalizzazione sta facendo vincere le destre. E che gli sconfinamenti verso posizioni estreme, xenofobe e razziste, sono sempre più diffusi e legittimati. Come dimostrano anche i recenti fatti di cronaca italiana.
Qualche anno fa il più importante filosofo tedesco vivente, Jurgen Habermas, aveva sostenuto che le democrazie contemporanee non sono in grado di rigenerare le premesse etiche su cui si fondano. Il senso di questa affermazione è che l’individualismo radicale – in combinazione con l’incessante innovazione tecnologica – tende a snervare il tessuto democratico, indebolendo il legame sociale, che viene prima e dopo lo spazio della libertà individuale.
Per questo motivo Habermas – da grande pensatore laico – suggeriva di non sottovalutare il ruolo che le risorse cognitive e relazionali ancora disponibili nelle grandi tradizioni religiose possono avere per rianimare la democrazia e salvarla dalla sua crisi.
È in questa prospettiva che si deve guardare allo svolgimento della 50ª edizione delle settimane sociali dei cattolici italiani che si svolgono in questi giorni a Trieste. La presenza del presidente della Repubblica Mattarella e di Papa Bergoglio attribuiscono a queste giornate un rilievo che non raggiungevano da molti anni.
Il tema – non a caso – è quello della democrazia e della partecipazione. Tema attualissimo, che tocca tutti, oggi più che mai.
Il mondo cattolico – molto più variegato e debole rispetto al passato – oggi non ha un partito di riferimento. E sarebbe del tutto fuori luogo guardare a Trieste sul piano strettamente partitico.
Alla luce del pontificato di Bergoglio – e alle due encicliche Laudato Si e Fratelli Tutti – il ruolo dei cattolici nella sfera pubblica si pone su un piano diverso. L’idea di fondo è che l’offerta politica oggi disponibile non riesce più a interpretare la condizione di vita dei nostri concittadini.
Viviamo in un ritardo cognitivo. Le idee di individuo, di impresa separata dal proprio contesto, di sovranità politica territoriale slegata dai problemi globali sono inadeguate rispetto a ciò che oggi la scienza ci dice, incontrandosi con la secolare saggezza religiosa: e cioè che non esiste forma di vita che non sia in relazione; e che la libertà umana – a livello individuale, economico, politico – si gioca, in ultima istanza, nella qualità delle relazioni che fa esistere.
Esiste una convergenza tra l’intelligenza della realtà, colta nella sua complessità, e la matrice cristiana che fa della relazione trinitaria il suo codice fondamentale.
Al là di tutte le fragilità che oggi lo caratterizzano, il mondo cattolico continua ad alimentare una rete capillare presente in tutto il paese, che ogni giorno lavora per ritessere i rapporti sociali ed economici all’interno di tante realtà locali.
Questa presenza non è al momento in grado di offrire una cornice interpretativa utile per l’intera società e il suo sviluppo. Ma non c’è dubbio che, ispirandosi ai tanti che stanno concretamente lavorando, essa può arrivare a portare un contributo importante per tutti.
Le settimane sociali non servono per fondare un partito. Potranno semmai rafforzare i tanti – cattolici o no – che capiscono che ci vuole un impegno serrato per contrastare le disuguaglianze, per battere l’illegalità, per creare nuovi modelli economici più sostenibili, per capire come l’intelligenza artificiale possa davvero andare a vantaggio delle persone piuttosto che verso una verticalizzazione radicale.
Forse Habermas ha ragione: per rigenerarsi, le democrazie avanzate devono provare a decentrare il loro sguardo, aiutate da chi è portatore di una prospettiva diversa.
E a questo scopo, la radice cattolica può essere ancora di aiuto.
* in “Corriere della Sera” del 4 luglio 2024