Il Blog di Enzo Bianchi

Il Blog di Enzo Bianchi 

​Fondatore della comunità di Bose

Il dialogo non sia l’ultima spiaggia di una Chiesa umiliata dagli scandali

01/02/2025 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2025,

Il dialogo non sia l’ultima spiaggia di una Chiesa umiliata dagli scandali

La Stampa

Il teologo Aveline affronta con radicalità il senso della missione del cattolicesimo: no relativismo

La Stampa - Tuttolibri - 01 febbraio 2025

 

di Enzo Bianchi

Chi non si è mai chiesto come percorrere i cammini dell’incontro, del dialogo, della relazione con l’altro, con ogni altro, con ogni volto umano? In primo luogo, occorre riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza: è uomo, donna, bambino, vecchio, credente, non credente, diversamente credente. È un essere umano come me, eppure diverso da me, nella sua irriducibile alterità! Teoricamente questo riconoscimento è facile, ma in realtà proprio perché la differenza desta paura, si deve mettere in conto l’esistenza di sentimenti ostili da vincere: in particolare, c’è in noi un’attitudine che ripudia tutto ciò che è lontano da noi per cultura, morale, religione, estetica o costumi. Quando si guarda l’altro solo attraverso il prisma della propria cultura, allora si è facilmente soggetti all’incomprensione e all’intolleranza.

 

Bisogna dunque esercitarsi a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono i soli esistenti ma si può accettare di imparare, relativizzando i propri comportamenti. C’è un sano relativismo culturale e religioso che significa imparare la cultura e la religione degli altri senza misurarla sulla propria: questo atteggiamento è necessario in una relazione di alterità in cui si deve prendere il rischio di esporre la propria identità a ciò che non si è ancora… Se ci sono questi atteggiamenti preliminari, allora diventa possibile mettersi in ascolto: ascolto arduo ma essenziale di una presenza, di una chiamata che esige da ciascuno di noi una risposta, dunque sollecita la nostra responsabilità.

 

L’ascolto è la condizione essenziale per dialogo. Dia-lógos: parola che si lascia attraversare da una parola altra; intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e di comunione; via efficace contro il pregiudizio e, di conseguenza, contro la violenza che nasce da un’aggressività non parlata… È il dialogo che consente di passare non solo attraverso l’espressione di identità e differenze, ma anche attraverso una condivisione dei valori dell’altro, non per farli propri bensì per comprenderli. Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze, ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze: il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso, un avanzare insieme. Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate nei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate. Sono le strade che ha percorso Gesù di Nazareth e che ha lasciato ai suoi discepoli come tracce da seguire, facendosi maestro con la sua arte della relazione, la sua volontà di ascoltare e accogliere quanti incontrava sul suo cammino, fino a lasciarsi costruire, edificare da questi rapporti.

 

Che il dialogo sia l’atteggiamento che deve animare la missione della chiesa è il cuore del prezioso saggio di Jean-Marc Aveline, Il dialogo della salvezza, Piccola teologia della missione, Libreria Editrice Vaticana 2024. Per il grande pubblico italiano Jean-Marc Aveline è una persona poco conosciuta, eppure è tra gli uomini più significativi, intelligenti e lucidi che il cattolicesimo europeo esprime in questo momento. Lo conosco da quando sostava spesso a Bose negli anni in cui sono stato priore; una conoscenza e un’amicizia che mi ha permesso di apprezzarne la brillante intelligenza e la profonda umanità segnata da quella genuina bontà e simpatica affabilità tipica dell’uomo del Sud. Aveline è arcivescovo di Marsiglia e da alcuni anni papa Francesco lo ha fatto cardinale mostrando pubblicamente verso di lui una stima personale. È un bravo teologo, munito di una fede salda ma non militante, capace di dialogo senza cedere a sincretismi. Un ecclesiastico semplice nello stile, eppure molto avvertito e sapiente. A chi, come capita sempre più spesso, mi chiede chi a mio giudizio sarebbe il prossimo successore di Pietro, rispondo senza esitazione: l’arcivescovo di Marsiglia che con il suo sorriso ricorda papa Giovanni.

 

Nato nel 1958 in Algeria da una famiglia che da quattro generazioni era giunta in quelle terre dall’Andalusia ma anche dall’Alsazia e dalla Vandea, Aveline ha iscritto nella storia personale quello che definisce “la memoria felice, discreta e tuttavia profonda, di una convivialità vissuta nella semplicità al di là delle differenze di culture e di credenze”. Un’esperienza vissuta in prima persona che dimostra “che è possibile una fraternità tra ebrei, cristiani e mussulmani, come quando vivevamo sotto il sole di Costantina, Orano o Algeri”. Costretto con la famiglia a “rimpatriare” nel 1962 in Francia conosce in giovane età sulla sua pelle le ostilità, i pregiudizi e il disprezzo vissuti dai cosiddetti pied-noir, cioè i figli di genitori francesi nati e vissuti in Algeria prima che la colonia conquistasse l'indipendenza.  

 

Il dialogo della salvezza è così la sintesi al tempo stesso dell’esperienza personale e del pensiero sulla missione della chiesa che Aveline ha maturato per decenni come teologo esperto di teologia delle religioni e da qualche anno esperimenta concretamente come pastore di una grande città multietnica come Marsiglia. In questo saggio l’autore fa del dialogo, la cifra, il cardine dell’attitudine che la chiesa è chiamata ad assumere nella società attuale: dialogo con le culture, con le religioni, con le etiche. L’incontro con l’altro non è per l’autore l’inevitabile scelta strategica di una chiesa ormai minoranza che ha perso ogni rilevanza sociale. Il dialogo non è l’ultima spiaggia di una chiesa umiliata dagli scandali, marginalizzata dai poteri di questo mondo perché ormai privata di ogni potere mondano, alla quale non resta che rivolgersi ai poveri e agli ultimi. Al contrario, “quando è in mezzo ai poveri la Chiesa è più pienamente cattolica, perché è lì che apprende dal suo Signore tutta la grandezza, l’ampiezza e la profondità della compassione di Dio per il mondo”.

Imbevuto dalla radicalità della testimonianza di Charles de Foucauld e del suo stile di missione tra i fedeli dell’islam a Tamanrasset, ma anche del pensiero del grande islamologo Louis Massignon, come della visione della “conversione del missionario” del teologo gesuita Michel De Certeau, Aveline prende le distanze da una errata comprensione della scelta del dialogo da parte della chiesa come stile della missione, specie quando il dialogo diventa un paravento per nascondere il desiderio di seppellire la missione sotto gli artifici del dilagante relativismo. Per questo precisa: “Ma se l’evangelizzazione, mal intesa, diventassi per la Chiesa la bandiera di una volontà di conquista per imporre improbabili ‘valori cristiani’ ripiegandosi sull’identitarismo dominante, dovremmo ugualmente prenderne le distanze!”.

 

Per noi cristiani d’occidente oggi angosciati solo della massiccia e pervasiva scristianizzazione delle nostre terre, la visione di missione della chiesa indicata da Jean-Marc Aveline è una boccata d’aria fresca.