Il libro postumo del teologo Piana affronta le questioni più scottanti del fine vita con un nuovo approccio
La Stampa - Tuttolibri - 29 marzo 2025
di Enzo Bianchi
In tutte le culture la questione del fine vita è sempre stata un tema complesso e problematico in quanto attiene a un ambito estremamente delicato dell’esistenza umana, congiunzione di esperienze decisive come il male, il dolore fisico o psichico, la malattia, la morte. Nel nostro Paese poi, per la storia e per il peso della cultura cattolica, la questione del fine vita resta ancora oggi luogo di tensioni, di schieramenti opposti e di battaglie ideologiche che hanno come risultato una situazione di stallo, o meglio una ignobile anomalia. Nonostante le diverse sentenze della Corte costituzionale, anche recentissime, il Parlamento italiano si mostra incapace di legiferare ad hoc per l’intero territorio nazionale, aprendo il varco ad alcune legislazioni regionali che, in mezzo a obiezioni e critiche, colmano il vuoto stabilendo un percorso e una tempistica per quanti liberamente domandano di accedere al suicidio medicalmente assistito.
Il dolore e la malattia sono realtà insensate, e su questo anche chi si professa credente è chiamato a compiere una grande conversione. Non ha il minimo senso patire malattie e sofferenze come “dolore salvifico”. Certo, ci possono essere situazioni in cui nella malattia si ricevono lezioni e insegnamenti sulla nostra fragilità e sovente sulla solidarietà che ci lega gli altri, ma essa resta in sé una realtà insensata. Dunque non ha senso soffrire per “espiare i propri peccati” o errori, non ha senso soffrire per ottenere qualcosa da Dio, non ha senso offrire a Dio le sofferenze, perché Dio non è un Dio che attende il nostro dolore, il nostro sangue.
Per i credenti la vita è sacra nel senso che è un dono di Dio: Dio solo può dare la vita e toglierla, dunque essa non è disponibile, è inviolabile secondo le espressioni usate anche da laici come Norberto Bobbio. Ma sempre di più siamo consapevoli che c’è anche una dignità della vita che tiene conto della qualità della vita. La vita biologica non esaurisce in sé stessa la vita umana che è vita personale, irrepetibile, una biografia della persona.
Sbaglia chi contrappone la “sacralità della vita”, come valore difeso dai credenti, alla “dignità della vita” sostenuta dai non credenti, perché anche per il credente non ci può essere nessuna biolatria, “adorazione della vita”, sarebbe idolatria. Semplicemente noi disponiamo della vita come dono, ma un dono affidato alle persone. Quando la vita di un individuo non è più relazionale è ancora vita umana? Umanizzare le cure significa innanzitutto assumere il rispetto della dignità umana e non fare dell’indisponibilità della vita una biolatria! Si tratta dunque di combinare l’affermazione del valore della vita con l’esigenza di un cammino nella malattia e nella morte che sia dignitoso. Non si dimentichi che il rispetto della dignità umana è un diritto dell’uomo. Su questo terreno resta assolutamente necessario il dialogo tra etica cattolica ed etica laica, rifuggendo da ogni posizione integralista o totalitaria. Ma i cattolici imparino, perché ne hanno urgente bisogno, che la vita umana per essere tale abbisogna di dignità che è più che la qualità della vita. È sulla dignità umana che si fonda il diritto di ciascun individuo di essere protetto da qualsiasi forma di violazione o di offesa ed è sulla dignità umana che si fonda il dovere di prendersi cura di coloro che soffrono!
A questi temi è dedicata l’opera apparsa postuma del teologo moralista Giannino Piana L’ultimo orizzonte, Questioni etiche di fine vita, pubblicato da Interlinea Edizioni. Per lunghi anni docente di teologica morale presso le università di Urbino e di Torino, e presidente dell’Associazione Teologica Italiana per lo studio della Morale, con questo piccolo ma illuminante saggio Giannino Piana offre da teologo un personale contributo, frutto di anni di riflessione, studio e insegnamento, sulle questioni connesse al fine vita che, ne siamo certi, ancora per molto tempo resteranno di attualità.
Argomentando con rigore e precisione ma al tempo stesso con tatto e delicatezza attorno a temi sui quali nel sentire comune la teologia non gode di buona fama perché ritenuta, spesso a ragione, rigida, intrusiva, eccessivamente normativa, Piana propone un nuovo approccio dato anzitutto dal prodigioso progresso tecnologico della medicina che ha consentito risultati impensabili. L’evoluzione delle bioscienze ha come rinvigorito la sensibilità nei confronti della dignità della persona umana ad ogni stadio della sua vita, morte compresa, nella inesausta ricerca di una “morte dignitosa”.
La riflessione più corposa e originale del libro è consacrata ai temi più scottanti del fine vita: eutanasia, suicidio assistito e accanimento terapeutico. Per ciascuno di questi temi cruciali, Piana presenta le diverse posizioni in campo, fa chiarezza nell’uso della terminologia corretta, individua le questioni etiche in gioco e ne descrive l’aspetto legislativo. Senza limitarsi a giustapporre le prese di posizioni del mondo cattolico – l’insegnamento ufficiale del magistero e, da non confondere, quello più avanzato della ricerca teologica – e le posizioni del mondo laico, l’autore va alla ricerca dei presupposti antropologici dell’uno e dell’altro. Eutanasia, suicidio assistito e accanimento terapeutico sono “nodi critici i quali, per la loro delicatezza e complessità, esigono un approccio etico rigoroso, al di fuori di pregiudizi ideologici, nel pieno rispetto di una visione laica, cioè razionale, evitando tanto posizioni rigidamente confessionali quanto posizioni di stampo laicista”.
Tra chi si oppone fermamente alla domanda di eutanasia e chi la rivendica con forza, Piana sembra appartenere a quel novero di studiosi, filosofi della medicina, teologi della morale, pensatori laici che hanno assunto posizioni sfumate e di mediazione tra cattolici e mondo laico, favorendo un dialogo aperto e costruttivo, fino a proporre una sorta di “terza via” che salvaguarda l’autodeterminazione del paziente, confermata dal medico che sceglie di perseguire il bene del paziente e il rispetto dell’equità sociale.
È in un’ottica sapienziale, quasi poetica che Giannino Piana segna l’Epilogo del suo prezioso saggio, citando Rainer Maria Rilke: “Signore, dà a ciascuno la sua morte: la morte fiorita da una vita in cui ha saputo amare, capire, soffrire”. La scienza e la tecnica possono dare all’uomo un’hybris di onnipotenza che talvolta gli impedisce di riconoscere il proprio limite e la connaturale precarietà. La capacità di accogliere ciascuno la morte, facendone “la sua morte” è dono e compito. “In questa ottica sapienziale, che sa attribuire il giusto valore alle cose, le questioni di fine vita recuperano la loro corretta dimensione. E la morte, pur non venendo meno il carattere drammatico che l’accompagna, acquista un senso e la riscatta.
La lettura dell’ultimo libro di Giannino Piana, quasi un testamento teologico, ha portato a maturare in me questa convinzione: il confessionalismo religioso e il laicismo razionale devono conoscere il momento opportuno nel quale sapersi fermare di fronte all’enigma del dolore e inchinarsi profondamente alla coscienza della persona.