di Sarah Belouezzane e Olivier Bonnel*
Sono rari i membri del clero cattolico che si esprimono con tanta libertà: nella crisi aperta tra Francia e Algeria, l'arcivescovo di Algeri ha denunciato con forza la virulenza di alcuni politici francesi e ha chiesto di tornare a considerare i crimini del passato coloniale. Un prerequisito per la distensione tra i due paesi, le due sponde del Mediterraneo su cui ha costruito il suo singolare percorso di ex avvocato d'affari.
Il cardinale Jean-Paul Vesco, 63 anni, estrae il telefono dalla tonaca bianca. Pochi giorni dopo la morte di papa Francesco, il 21 aprile, e prima di chiudersi nel conclave che consacrerà Leone XIV come suo successore, ci ha ricevuto, seduto su una panca di legno scuro nella sala capitolare del convento dei domenicani di Santa Sabina, a Roma. Con aria divertita, ma anche commossa nel vedere che un intero Paese, l'Algeria, si sta mobilitando a suo sostegno, scorre i vari messaggi su WhatsApp per mostrare i numerosi video che gli sono stati inviati. Piccoli reportage su YouTube, ma anche montaggi di ogni tipo, su TikTok e Instagram, riguardanti la sua vita e la sua opera.
Uno di questi, particolarmente gustoso, ripercorre la sua carriera ecclesiastica con l'ausilio di musiche epiche e immagini generate dall'intelligenza artificiale. Si vede un Jean-Paul Vesco, molto somigliante a Giovanni Paolo II, arrivare sorridente per le strade di quella che si intuisce essere Algeri. «Il prossimo papa potrebbe essere algerino?», si chiede il narratore, che descrive il cardinale come «un algerino nato in Francia e diventato figlio dell'Algeria per scelta», mentre avrebbe potuto rimanere nel «suo confort».
Nominato arcivescovo di Algeri nel 2021 da papa Francesco, che lo ha creato cardinale nel dicembre 2024 e, di conseguenza, membro del collegio elettorale che si è riunito il 7 e l'8 maggio nella Cappella Sistina, in Vaticano, Jean-Paul Vesco soddisfaceva, almeno sulla carta, tutte le condizioni per diventare papa. Ma non aveva alcuna possibilità reale. Ne era ben consapevole: «Un giornalista mi ha inserito in una lista che ha stilato con diversi criteri e sono arrivato ultimo», ha sorriso candidamente domenica 27 aprile, ammirando i magnifici pini dell'Aventino. È su questa collina di Roma che aveva eletto domicilio – presso i domenicani, di cui è membro – prima di trasferirsi nella residenza Santa Marta, all'interno del Vaticano, dove i cardinali elettori vivono confinati per il tempo delle votazioni.
Orgoglio nazionale
Monsignor Vesco era troppo giovane, troppo recentemente elevato al rango di cardinale e quindi poco conosciuto dai suoi colleghi, troppo lontano anche dai giochi politici romani per far parte della lista dei papabili seri. Non importa. Gli algerini hanno visto una possibile apertura in questa minima probabilità. Contava solo la presenza di uno di loro a questo evento storico. Una partecipazione che è diventata fonte di orgoglio nazionale in Algeria, proiettando il prelato al rango di star.
Nato a Lione nel 1962, Jean-Paul Vesco, arrivato in Algeria nel 2002 e naturalizzato algerino nel 2023, ha partecipato al conclave come africano e non come europeo. Il cardinale ha mantenuto la nazionalità francese, ma, come spiega lui stesso: «Ho fatto la mia scelta: come cardinale, sono algerino, non c'è doppia nazionalità per questo». Francese di nascita, il domenicano ha scelto l'Algeria come patria del cuore. Al punto da diventare, pur essendo cattolico, una figura importante di questo Paese musulmano. E da assumere, regolarmente, una posizione di rara franchezza sulle difficili relazioni tra i due Paesi.
Hassan Ouali, a lungo giornalista del quotidiano francofono El Watan e ultimo direttore della redazione del giornale Liberté prima della sua chiusura nel 2022, ha avuto l'occasione di incontrare l'arcivescovo di Algeri nel dicembre 2018. Entrambi hanno assistito alla beatificazione dei sette monaci di Tibhirine, assassinati il 21 maggio 1996 durante il decennio nero, la guerra civile che ha insanguinato il Paese. Secondo lui, il cardinale è diventato una sorta di “mascotte” per l'Algeria. Diviso in quattro diocesi, il vasto territorio di 46,7 milioni di abitanti conta tuttavia solo 7.000 cattolici. La Chiesa, ultra-minoritaria, è composta principalmente da religiosi, espatriati, studenti stranieri e migranti africani.
«Una sorta di voce dell'Algeria»
In un contesto economico e politico particolarmente cupo, la nazione musulmana ha deciso di non nascondere la propria gioia. «Gli algerini hanno visto in lui un cittadino del Paese proiettato alla ribalta e ne hanno fatto un motivo di orgoglio nazionale», analizza Hassan Ouali. Il cardinale è diventato una sorta di voce dell'Algeria nel mondo cattolico e occidentale. Non è certamente musulmano, ma riesce a parlare per noi». Questa reazione di una parte della società algerina si spiega, secondo il giornalista, con la personalità del religioso, descritto come «aperto e che non ha paura di andare incontro alle persone». «Sempre sorridente, anche di fronte alle avversità e alla complessità del mondo», afferma Hassan Ouali.
Come molti, da entrambe le sponde del Mediterraneo, e in particolare i cittadini franco-algerini, ha assistito «sconvolto» all'escalation delle tensioni tra Francia e Algeria. Mai, dall'indipendenza nel 1962, i due paesi avevano vissuto una crisi diplomatica simile. La scintilla accesa quando la Francia ha riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale, nel 2024, si è trasformata in un incendio con l'arresto di un diplomatico algerino sul territorio francese, l'espulsione di diplomatici francesi dal suolo algerino e persino il richiamo degli ambasciatori. Detenuto in Algeria dal 16 novembre 2024, lo scrittore Boualem Sansal è diventato ostaggio della crisi. Le dichiarazioni del ministro dell'Interno Bruno Retailleau, molto dure nei confronti dell'Algeria e talvolta anche dei cittadini franco-algerini, hanno alimentato le tensioni.
In questo contesto, il cardinale Vesco, che continua a ripetere di voler «ristabilire un legame di fratellanza» tra le due sponde del Mediterraneo, ha deciso di prendere pubblicamente la parola sul quotidiano cattolico francese La Croix il 24 marzo. Il prelato si è detto «preoccupato e arrabbiato per le dichiarazioni intransigenti di alcuni responsabili politici francesi». Questa crisi, ha affermato, «non ha alcuna incidenza sulla vita della Chiesa in Algeria, ma mi tocca personalmente, in quanto franco-algerino. E il suo impatto è straordinario sulle persone che mi circondano. Qui, l'atteggiamento della Francia è vissuto come offensivo e ingiusto. Riaccende una ferita nell'anima algerina la cui profondità può essere misurata solo nel lungo arco di una vita condivisa».
L'intervista è stata ripresa da numerosi media algerini, confermando, in un certo senso, che la nazione lo riconosceva come uno dei suoi. Jean-Paul Vesco ritiene inoltre che questa crisi diplomatica gli abbia fatto davvero «scoprire» e prendere coscienza della sua doppia nazionalità.
«I danni della colonizzazione»
Una forte pioggia primaverile ha iniziato a cadere sul giardino del chiostro del convento di Santa Sabina, accrescendo la calma del luogo. È con serenità che il religioso affronta questo argomento, pur così esplosivo: «La mia unica battaglia è quella di prendere coscienza dei misfatti della colonizzazione. In tutte le sue forme». Per lui, «immaginare che la storia si sia fermata nel 1962 e che basti smettere di parlarne è anche una strumentalizzazione del passato».
Il cardinale non vuole in alcun modo «far sentire in colpa i francesi di oggi». Ma, precisa, «la storia è quella ed è una responsabilità collettiva». Traccia un parallelo con il Medio Oriente, affermando che «in Palestina abbiamo sotto gli occhi ciò che è la colonizzazione: prendere terre, applicare la legge del più forte. L'arbitrarietà...».
Il riconoscimento dei misfatti della colonizzazione potrebbe, secondo lui, consentire di trovare una via di pacificazione tra i due paesi. Egli avanza un paragone audace, invocando la Chiesa cattolica e le decine di migliaia di vittime di violenze sessuali che essa ha causato al suo interno. «La colonizzazione è un abuso, uno stupro, dietro al quale non c'è stata alcuna parola». Per l'arcivescovo, lo stesso principio si applica alle aggressioni sessuali commesse da membri del clero, di cui la Chiesa cattolica ha impiegato molto tempo a prendere atto, nonostante siano all'origine di traumi «sofferti dalle vittime per ottant'anni». «Alcuni dicono: “Va bene, abbiamo chiesto perdono, basta così”. Ma non sono loro a decidere se “va bene”», ricorda. Alle numerose critiche mosse talvolta dai politici francesi sul modo in cui gli algerini hanno condotto i loro affari dopo la decolonizzazione, risponde: «Immaginate che sia l'aggressore a rimproverare alla vittima: “Allora, cosa hai fatto della tua vita?”».
La corrente più riformista
Questa libertà di espressione può sorprendere. Jean-Paul Vesco la ha già mostrata quando è stato invitato a partecipare al sinodo dei vescovi sulla famiglia, tra il 2014 e il 2015, a Roma. Quel grande incontro di ecclesiastici era stato deciso da Papa Francesco per riflettere sulle posizioni della Chiesa cattolica sulla vita intima e familiare, alla luce dei cambiamenti avvenuti nel mondo. All'epoca, il prelato aveva preso le difese dei divorziati risposati, ai quali la dottrina nega i sacramenti come la comunione o la confessione. In qualità di vescovo di Orano, aveva persino firmato un libro in loro difesa, Tout amour véritable est indissoluble (Ogni amore vero è indissolubile, Éditions du Cerf, 2015). Si inseriva così nella corrente più riformatrice e inclusiva della Chiesa. In risposta aveva ricevuto una lettera al vetriolo dal Dicastero per la Dottrina della Fede, l'istituzione vaticana garante del rispetto della dottrina cattolica, che gli aveva chiesto di ritrattare i suoi scritti. Non ha mai accettato di cambiare pubblicamente la sua posizione.
La giornalista di La Croix Anne Bénédicte Hoffner ha incontrato Jean-Paul Vesco durante il sinodo. Da allora è nata una lunga e solida amicizia: la giornalista gli ha più volte fatto visita in Algeria. Per lei, la singolarità del suo amico è frutto della sua volontà di «articolare fedeltà e libertà» all'interno della Chiesa cattolica. «È un uomo di Chiesa che non si è lasciato assorbire dall'istituzione. Ama la Chiesa, la serve, è completamente leale, ma non è solo questo», analizza. Secondo lei, questa posizione si spiega con il percorso insolito del pret prima di entrare nell'ordine.
Dopo una laurea in diritto commerciale e un MBA all'HEC (un master alla Haute Ecole de Commerce), nel 1989 è diventato avvocato d'affari. Durante una cerimonia di matrimonio, raccontò ai domenicani di aver aperto uno studio legale al «222, rue du faubourg Saint-Honoré». Perplessi e un po' divertiti, i religiosi gli risposero che doveva trattarsi di un errore, poiché quello era proprio l'indirizzo del convento domenicano dell'Annunciazione. Il suo ufficio era in realtà al 223…
Lo studio funzionava molto bene, ma capì subito che «non lo avrebbe soddisfatto. C'era come un soffitto di vetro, sempre un'insoddisfazione», racconta colui che all'epoca aveva una «vera vita di fede» ma non andava necessariamente in chiesa tutte le domeniche.
«Ho detto sì mentre viaggiavo in auto»
Tutto cambia un giorno dell'agosto 1994. Un amico monaco, con cui era solito fare ritiri spirituali, lo invita a fargli visita a Lisieux. Entra nella cattedrale dove proprio in quel momento si stava celebrando una ordinazione presbiterale. «E a quel punto ho capito, è stato un colpo che mi ha messo al tappeto», racconta. Improvvisamente si rende conto della necessità di rispondere alla chiamata di Dio. «Il 14 andavo a Lisieux in macchina e pensavo ancora ai miei affari e al mio lavoro, e il 15 pensavo solo a una cosa: trovare un seminario. Ho detto sì in auto», racconta. Segno che Jean-Paul Vesco non fa nulla come gli altri: «È arrivato al convento a bordo di una Saab decappottabile e ha dato le chiavi a un amico che se n'è andato con l'auto», racconta uno dei suoi amici più cari, che ha frequentato lo stesso noviziato.
Per entrare nell'ordine, sceglie i domenicani. La vita religiosa all'interno di una comunità è quella che più gli si addice. L'Algeria, invece, entrerà nella sua vita un po’ più tardi. È novizio quando viene a sapere dell'assassinio dei monaci di Tibhirine, nel 1996. Qualche mese dopo, il 1° agosto, il vescovo di Orano, Pierre Claverie, è vittima di un attentato. «Non lo conoscevo, ma sentivo che qualcosa mi legava a lui», ricorda.
Nel 1998, quando l'ordine domenicano si interroga sull'opportunità di rimandare dei frati in Algeria, sente che quel Paese gli «parla». Tuttavia, dovrà aspettare quattro anni, di cui due trascorsi a Gerusalemme, per terminare gli studi, prima di stabilirsi lì per la prima volta nel 2002, a Tlemcen (nord-ovest), vicino al confine con il Marocco. Nel 2010 viene richiamato in Francia per essere eletto provinciale dei domenicani, ovvero capo dell'ordine in gran parte del Paese. «E durante la notte scatta qualcosa. Piango, lasciare l'Algeria mi uccide», ricorda, ancora commosso.
«Quando è stato nominato provinciale, è stata molto dura, uno strappo... non si sentiva adatto a quel compito, mentre l'Algeria era davvero una scelta, il suo primo amore, se così posso dire», racconta il suo amico Jean Jacques Pérennès, domenicano, ex vicario provinciale per il mondo arabo.
Monsignor Vesco decide di conservare la sua carta algerina di residente e torna nel Paese ogni sei mesi per non perderla. Una scelta saggia, perché non passano nemmeno due anni prima che papa Benedetto XVI lo rimandi a Orano per diventarne vescovo, nel dicembre 2012. Uno dei suoi compiti è quello di restaurare il magnifico santuario di Santa Cruz, che troneggia maestoso sopra la baia della città, al punto da esserne diventato il simbolo. Rimane nove anni a Orano, prima di essere nominato ad Algeri nel 2021 da papa Francesco.
Dialogo interreligioso
Il suo braccio destro a Orano, padre Modeste Niyibizi, lo descrive come «un uomo che si lascia toccare dalla fragilità umana. L'ho visto aiutare i migranti, fare di tutto per le persone malate, per le quali interrompeva qualsiasi attività per andare a trovarle in ospedale». Se può parlare dell'Algeria come fa, secondo il prete, è perché «la sua doppia nazionalità, algerina e francese, non è solo una questione di carta, ma soprattutto di cuore. Grazie ad essa, può osare una parola che invita alla riconciliazione».
Il frate domenicano Olivier Poquillon, oggi direttore della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme, concorda: «Quando è partito per Orano, ha fatto lo sforzo di imparare la lingua... È naturalizzato, è un vescovo algerino che svolge un ruolo importante nella conferenza episcopale regionale del Nord Africa». Il religioso ricorda che «il vescovo di Algeri è innanzitutto a capo di una Chiesa africana e non di una Chiesa coloniale o europea». Secondo lui, monsignor Vesco è «capace di gettare un ponte tra diverse sponde». Vivendo in terra islamica, il dialogo interreligioso, elemento centrale della dottrina domenicana, gli sta particolarmente a cuore.
Monsignor Vesco sogna oggi di avviare un'iniziativa di pace comune con il cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, convinto dell'intreccio fondamentale tra le due nazioni. A riprova di ciò, ricorda con emozione di aver sentito, durante un volo Marsiglia-Algeri, dei giovani con doppia nazionalità parlare arabo algerino con accento marsigliese.
Il 18 maggio ha preso possesso di una parrocchia a Roma, come è consuetudine per tutti i nuovi cardinali. Papa Francesco ha scelto per lui l'umile chiesa del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, a Vitinia, nella periferia sud-ovest della capitale italiana. Una semplicità che si addice perfettamente al cardinale Vesco, che quel giorno ha pronunciato la sua prima omelia romana. Se i prelati possono, nel corso della loro carriera, essere chiamati a cambiare città o paese, Jean-Paul Vesco non la pensa così. Dice che lui in Algeria, ci vive. E, si è ripromesso, in Algeria morirà
* in “www.lemonde.fr” del 1° giugno 2025 (traduzione: www.finesettimana.org)