La Stampa, 24 novembre 2015
di ENZO BIANCHI
Esce per Einaudi il nuovo libro di Enzo Bianchi Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere. Con questo saggio il priore della Comunità monastica di Bose, autore di numerosi testi sulla spiritualità cristiana, torna a un altro dei temi che più gli stanno a cuore, su cui ha già pubblicato Il pane di ieri (2008) e Ogni cosa alla sua stagione (2010). Dal nuovo libro anticipiamo qui il capitolo «Il cibo è cultura»
Il cibo è costituito da un insieme di alimenti e di creature volute e donateci da Dio ma, come abbiamo detto, il cibo è frutto non solo della terra, ma anche del lavoro dell’uomo. Per noi umani non c’è natura senza cultura: siamo consapevoli che dal III millennio a.C., prima ancora dell’invenzione della scrittura, gli umani hanno iniziato a praticare l’arte della cucina, cioè del preparare, del trasformare gli alimenti in cibo per la tavola. Attorno al fuoco, in una grotta, sotto un albero, su una pietra si è cominciato a mangiare insieme, a consumare cibo preparato da qualcuno: a poco a poco nasceva la cucina, l’arte del cucinare e, contemporaneamente, la festa, il banchetto, il simposio... Consumare lo stesso cibo e la stessa bevanda significa diventare insieme uno, stipulare un contratto, un’alleanza, riconoscere una prossimità, un’accoglienza reciproca, dare origine a una relazione o approfondirla, delineare un abbozzo di communitas.
Cucinare è azione umana, solo umana, non conosciuta dagli altri viventi sulla terra. È, di fatto, umanesimo, perché chiama e richiama uomini e donne, convoca piante, animali e anche minerali (il sale) e canta il sapore del mondo. E tutto questo in un ritmo umano: non sempre si cucina allo stesso modo! C’è la cucina feriale, in cui ci si nutre con gioia ma nella sobrietà e nella frugalità; c’è il pasto, il banchetto che interrompe la ferialità dei giorni per dire l’insperabile, per celebrare ciò che accade poche volte e per grazia; c’è il pasto del bambino che abbisogna di cibi a lui adeguati; c’è il pasto per l’anziano, che richiede una misura e una leggerezza... Chi cucina ha anche l’arte di differenziare i pasti, perché c’è un pasto per ogni momento sotto il sole.
Fare cucina
Cosa va messo in evidenza in quest’arte? Innanzitutto l’acqua: non solo essenziale come bevanda, ma indispensabile per la cucina, per lavare gli alimenti, per cuocerli. L’acqua ha assunto subito un ruolo purificatore e quindi si è imposta come indispensabile. Accanto all’acqua, il fuoco che fa passare l’alimento da crudo a cotto: tutti noi sappiamo come questo processo sia assolutamente determinante. Quello dal crudo al cotto è un passaggio che conferisce un nuovo assetto al cucinare: fare cucina cessa di essere solo preparare e condire un alimento, ma implica il trasformarlo profondamente, con esiti molto diversi a seconda della modalità di cottura e degli ingredienti utilizzati.
Proprio la preparazione culinaria ha creato il pasto come pratica sociale che media il rapporto con il nutrimento. Senza la preparazione, ognuno potrebbe soddisfare da solo e a suo piacimento il bisogno di cibo. La preparazione del pasto, invece, richiede un investimento di tempo, di attenzione e di cura, che costituisce la misura empirica dell’amore di chi prepara il cibo nei confronti di quanti devono mangiarlo abitualmente o sono invitati per una circostanza particolare. Anche presentare un piatto richiede tempo e arte, quindi attenzione verso gli altri e volontà di procurare piacere. Presentare il cibo è la firma del cuoco o della cuoca, è un sorriso che esprime la gioia di offrire ciò che si è preparato per qualcuno. [...]
Condivisione e scambio entrano dunque nella cultura della cucina, del pasto, degli alimenti, e la condivisione del cibo appare sempre segno della condivisione della vita, e così lo scambio. Per questo nella cultura del cibo la relazione ha il suo primato e il cibo è a servizio di questa relazione che può essere tra conoscenti, amici, coniugi, famiglia, vicini, entità territoriali... «L’uomo è ciò che mangia», diceva Ludwig Feuerbach, ma questa affermazione è riduttiva perché noi dipendiamo più dai criteri orientativi della nostra alimentazione e della nostra capacità di viverne lo spirito che non da quello che mangiamo: potremmo dire «siamo ciò che mangiamo e come lo mangiamo». Occorre infatti fare del pasto un’occasione di piacere, un rito creatore di senso e di esperienze, anche di esperienze spirituali in cui mangiare in comunione e conoscere Dio diventano la stessa cosa.
Condividere per convivere
Plutarco fa dire a un personaggio delle sue Dispute conviviali (II,10): «Noi uomini non ci nutriamo l’un l’altro semplicemente per mangiare e bere, ma per mangiare e bere insieme». Tale aspetto è decisivo: per questo il cibo per noi umani è evento culturale che sa soprattutto produrre convivio che, come dice la parola, è cum vivere, vivere insieme e quindi communitas, cioè mettere insieme i doni, il munus che ciascuno ha, oppure il debito (anch’esso munus) che ciascuno ha verso l’altro. Condividere per convivere! È proprio a causa di questa valenza del cibo che nella Bibbia la pienezza di vita è stata espressa dall’immagine del banchetto. Dal banchetto messianico promesso già dai profeti come banchetto del regno di Dio: «Il Signore dell’universo preparerà per tutti i popoli un banchetto di cibi abbondanti, un banchetto di vini raffinati, di cibi succulenti, di vini eccellenti» [Is 25,6] al banchetto promesso da Gesù: «Molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» [Mt 8,11; cfr. Lc 13,29], fino ai banchetti raccontati da Gesù nelle parabole come immagini, profezie del regno dei cieli. Dove c’è banchetto, infatti, non c’è solo nutrizione, ma c’è vita piena, condivisione, comunione fra tutti gli esseri umani e fra Dio e l’umanità. La tavola del regno dei cieli ha proprio il Signore Dio come ospite che invita, chiama, offre il banchetto a noi umani, ospiti, invitati, accolti per fare comunione con lui.
Spezzare il pane
Enzo Bianchi
2015
"Frontiere"
pp. 120
€ 17,00
ISBN 978880622966
Pubblicato su: La Stampa