La Repubblica, 14 marzo 2015
di ENZO BIANCHI
Mentre i media di tutto il mondo si sbizzarrivano con bilanci, interviste e retrospettive sui primi due anni di pontificato, papa Francesco ha mostrato la sua sollecitudine per il presente e il futuro.
Il presente e il futuro dell'annuncio del vangelo nel mondo contemporaneo: ha indetto un giubileo straordinario che avrà "al suo centro la misericordia di Dio". Sembra ripetersi, ma con visibilità planetaria, la sorpresa suscitata da papa Giovanni nel drappello di studiosi che, in vista del Vaticano II, gli aveva presentato il volume contenente i documenti di tutti i concili precedenti. Posatolo gentilmente sullo sgabello dove appoggiava i piedi, Giovanni XXIII esclamò: "Bene, grazie ... Adesso parliamo del prossimo concilio!". Ed è proprio all'8 dicembre prossimo, giorno in cui ricorreranno i cinquant'anni dalla chiusura della "novella pentecoste" del Vaticano II, che papa Francesco
ha voluto collocare l'apertura di questo "anno santo".
Guardiamo avanti, esorta papa Francesco con questo annuncio, verso «una nuova tappa del cammino della chiesa nella sua missione di portare a ogni persona il vangelo della misericordia». Quando si aprirà il giubileo, il sinodo dei vescovi sulla famiglia si sarà chiuso da appena quaranta giorni e subito la chiesa cattolica sarà chiamata a tradurre le riflessioni sinodali non in ulteriori documenti ma in prassi "missionaria" in senso forte: dovrà trovare modalità nuove per vivere la sua vocazione più antica, "essere testimone della misericordia".
È proprio la misericordia la chiave di lettura dell'intero pontificato di papa Francesco, dei due anni trascorsi come di quelli che ancora devono venire, che siano ancora tanti oppure pochi, come «un piccolo vago sentimento» suggerisce al Papa. Del resto il Papa all'inizio di quest'anno aveva ribadito questo suo fermo orientamento: "Questo è il tempo della misericordia. E' importante che i fedeli laici la vivano e la portino nei diversi ambienti sociali. Avanti!".
E' attorno alla misericordia del Signore, allora, che Papa Francesco vuole convocare la Chiesa per spingerla verso l'umanità: è una sorta di sinodo permanente che il Papa sta strutturando attorno a questo annuncio, ma un assemblea che si dilata a dimensione universale e i cui membri di diritto, i vescovi, si trovano in costante dialogo con i fedeli e con le loro diocesi, ma anche con chi è sempre rimasto in disparte e con chi si è allontanato e ha timore a tornare: l'orizzonte non è un'aula sinodale, un organigramma cruciale o un tribunale ecclesiastico, bensì l'umanità intera e il cuore di ciascuno. Allora i problemi della famiglia e quelli delle vecchie e nuove povertà, i drammi delle migrazioni e delle guerre,le piaghe della corruzione, dell'immoralità, della menzogna vengono affrontati con la risolutezza verso il male e il rispetto verso le persone, con la lotta al peccato e l'appello del peccatore alla conversione.
E chiara l'opzione di papa Francesco per una ben precisa immagine della chiesa: una comunità di credenti che cura le ferite, si piega sull'uomo, non teme il contagio, sceglie la prossimità dei peccatori, dei «malati che hanno bisogno del medico». La chiesa può avere, e nella storia ha avuto, anche altri volti, può anche imbracciare le armi del rigore, ma Francesco, nel solco di papa Giovanni, «preferisce usare la medicina della misericordia».
Oggi più che mai, infatti. i cristiani, e con loro gli uomini e le donne di ogni orizzonte, in questa situazione mondiale così precaria e segnata da ogni tipo di ferita, abbisognano dell'annuncio della misericordia del Signore. Il Papa allora non si stanca di ripetere il messaggio evangelico che anima il suo pensare e il suo agire: «Né lassismo né rigorismo ... [ma] una misericordia [che è] sofferenza pastorale... Soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli... Non avere vergogna della carne del tuo fratello. Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci a ogni carne».
Ecco, anche se sono scoccati due anni dall'annuncio di quel nome inedito per un vescovo di Roma -Francesco- l'indizione dell'anno giubilare ci dice che non è ancora tempo di bilanci e che, quando un bilancio si farà, sarà sulla capacità avuta di farsi prossimo a ogni essere umano perché, come ammonisce Gesù nel vangelo, saremo giudicati per la carità mostrata verso gli ultimi.