Il Blog di Enzo Bianchi

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Thomas Merton: Lo stupore della comunione con gli altri

01/02/2015 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2015,

Thomas Merton: Lo stupore della comunione con gli altri

La Stampa

La Stampa, 1 febbraio 2015
di ENZO BIANCHI

“Qui è nato Thomas Merton scrittore americano” recita laconica la lapide su una casa ordinaria di Prades, villaggio dei Pirenei francesi. La data si ritrova, assieme a poche informazioni essenziali, nella lettera che il novizio Merton scrisse a inizio 1942 al suo abate, al momento dell’ingresso nel monastero di Gethsemani in Kentucky: “Sono nato il 31 gennaio 1915 a Prades, Francia, nella diocesi di Perpignan, da genitori protestanti”. Queste scarne precisazioni – diocesi e confessione cristiana dei genitori, necessarie per essere ammesso in un monastero cattolico – sono letterariamente trasfigurate nell’autobiografia che Merton scriverà sei anni dopo, ormai monaco professo e in procinto di diventare, proprio con quel libro, scrittore di successo mondiale: “L’ultimo giorno di gennaio del 1915, sotto il segno dell’Acquario, in un anno di una grande guerra, al confine con la Spagna, all’ombra di monti francesi, io venni al mondo”. Così, esattamente cent’anni fa, ha inizio la vita di un “monaco trappista, poeta, critico sociale e scrittore spirituale” (come recita un’altra lapide) che ora è sepolto sotto una croce bianca con la semplice scritta “Fr. Louis Merton, morto il 10 dicembre 1968”. In mezzo a questi memoriali, una vita straordinaria.

Una delle chiavi per interpretare un’esistenza così ricca e sfaccettata ce la forniscono proprio le pagine del diario che Merton dedica all’evento accaduto “a Louisville, all’angolo tra la Quarta Avenue e Walnut, nel centro della zona con i migliori negozi della città”, dove ora sorge la seconda stele appena ricordata. È il 19 marzo del 1958 e Merton, all’epoca maestro dei novizi del suo monastero, è colto da stupore: “fui d’un tratto preso dall’idea che io amavo tutta quella gente, che mi apparteneva come io appartenevo a loro, che non potevamo essere estraniati gli uni dagli altri anche se di razze diverse”. È lo stupore di scoprirsi appartenente all’unica umanità, senza esenzioni e privilegi, uno stupore che spazza via “l’illusione che emettendo i voti religiosi si diventi una creatura di diversa specie, pseudo-angeli, ‘uomini spirituali’, uomini di vita interiore”. Ed è lo stupore che in precedenza aveva caratterizzato altri momenti decisivi della vita di Merton: lo stupore dell’ateo libertino che resta incantato dagli scritti di Etienne Gilson e Jacques Maritain e, dopo pochi mesi di frequentazione della chiesa del Corpus Christi a New York, viene battezzato. È lo stupore del giovane docente universitario che, solo tre anni dopo il battesimo, scopre un’abazia trappista nel Kentucky rurale e chiede di esservi ammesso come novizio. È lo stupore divertito del monaco che così ricorda il momento della sua professione solenne quando, steso sul pavimento della chiesa, sente l’abate invocare lo Spirito santo sopra di lui: “incominciai a ridere con la bocca nella polvere: senza sapere come e perché, avevo compiuto davvero la cosa giusta, e anche una cosa magnifica”. È lo stupore di chi sente nascere fuori dalle mura del monastero il germe dei movimenti pacifisti e per i diritti civili, e sperimenta, da dentro il monastero, il soffio nuovo che il concilio di papa Giovanni sta facendo circolare nella chiesa.

Sarà ancora lo stupore del monaco provato che cerca un’impossibile conciliazione tra il voto di obbedienza a una comunità cenobitica e il crescente desiderio di una solitudine eremitica. Ma anche lo stupore di chi scopre che, man mano che si ritira dalla frequentazione degli altri – confratelli, amici, frequentatori del monastero – sente crescere in sé una solidarietà cosmica, un farsi carico delle speranze e delle sofferenze della propria generazione. Sarà anche, in una parentesi di lacerante passione, lo stupore del celibe maturo che conosce e contraccambia le attenzioni di una giovane infermiera. Oppure ancora lo stupore soddisfatto dello scrittore pacifista che vedrà suggellate da un’enciclica papale – la Pacem in terris di Giovanni XXIII – le tesi che i suoi superiori gli avevano proibito di pubblicare, perché “non si addice a un monaco trattare argomenti come la pace nel mondo”.

Sarà anche lo stupore dell’ultimo viaggio verso l’oriente estremo: sigillo al dialogo da tempo intessuto con il buddhismo e il taoismo, gioia dell’incontro con il Dalai Lama, scoperta del fascino spirituale dell’isola di Ceylon... fino a quello stupore ultimo che lasciò attoniti quanti lo conoscevano, lo amavano o, semplicemente, lo leggevano per conoscere e amare quanto gli stava a cuore: un ventilatore difettoso, una scarica elettrica nel silenzio di un bungalow a Bangkok. Pochi minuti prima aveva concluso così la sua conferenza a uno dei primi convegni di dialogo interreligioso: “ora posso uscire di scena!”. Si riferiva alla pausa dei lavori. In realtà, a cent’anni dalla sua nascita, possiamo dire che Merton non è ancora uscito di scena.

 

Pubblicato su: La Stampa