Avvenire, 23 agosto
di ENZO BIANCHI
Papa Francesco ha parlato spesso di riforma, e in modo articolato e preciso, mostrando che nella sua volontà di vescovo di Roma c’è l’intenzione di reformare, di mutare la forma di molte istituzioni e atteggiamenti presenti nella chiesa. Per questo sono risuonate sulle sue labbra con forza e convinzione le antiche parole patristiche “Ecclesia semper reformanda”. Ma di quale riforma si tratta? Da ottimo conoscitore della spiritualità ascetica, soprattutto ignaziana e post-tridentina, Francesco sa bene che nella vita spirituale una tappa decisiva consiste nel “deformata reformare”: è la stessa urgenza espressa da papa Giovanni nell’indire il concilio. Senza citare costantemente testi conciliari e senza mai ricorrervi come strumento di battaglia, Bergoglio vuole riprendere quella riforma.
In un’omelia a Santa Marta ha detto: “La purificazione del tempio da parte di Gesù (cf. Gv 2,13-22) è l’icona della riforma della Chiesa. ‘Ecclesia semper reformanda’, la chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi perché i suoi membri sono peccatori e hanno bisogno di conversione” (9 novembre 2013). E in un’altra occasione ha precisato: “Ci saranno incongruenze, ancora ci saranno sempre, perché siamo umani, e la riforma deve essere continua. I padri della chiesa dicevano: “Ecclesia semper reformanda”. Dobbiamo stare attenti per riformare ogni giorno la chiesa, perché siamo peccatori, siamo deboli...” (In volo al ritorno dalla Terra Santa, 26 maggio 2014).
Se questa volontà di riforma è vera, occorre però subito chiarire che il papa non pensa innanzitutto alla riforma delle strutture ecclesiastiche, quali il papato, la curia, le conferenze episcopali, i sinodi... Prima occorre una riforma che tocchi la vita dei cristiani e sappia mutarla: i cristiani devono fare della chiesa un luogo di dialogo, di partecipazione fervente e viva, di scambio e di confronto libero da paure, uno spazio in cui tutti possano esprimersi ed essere tenuti in considerazione. Per questo Francesco afferma di “non aver nutrito alcun progetto di cambiamento della chiesa” (Intervista al Corriere della sera, 5 marzo 2014), ma di essere disposto alla conversione e al pentimento. Il rinnovamento da cercarsi è quello che deve scaturire dal “confronto tra l’immagine ideale della chiesa, quale Cristo vide, volle e amò … e il volto reale, quale oggi la chiesa presenta” (EG 26). Riformare è riconoscere i propri peccati e fare la verità in se stessi per esporsi alla misericordia di Dio. Ecco perché Francesco parla di “conversione ecclesiale” (EG 26) e, con sant’Agostino, ne vede l’autore nel Signore Gesù: “‘Colui che è stato il tuo formatore, sarà anche il tuo riformatore’. Ogni rinnovamento della chiesa consiste essenzialmente in un’accresciuta fedeltà alla sua vocazione” (EG 26).
Papa Francesco coglie il prefisso ri-formare non solo come processo sempre da riprendersi, non solo come recupero di ciò che si è perso ma, in senso “responsoriale”, come risposta, come responsabilità nei confronti della vocazione del Signore. Se la riforma ecclesiale ha come criterio la carità evangelica ed è tale da impegnare tutti i membri, allora può anche essere riforma delle istituzioni. Di conseguenza, secondo Bergoglio, la riforma riguarda anche il papato come forma di esercizio del ministero petrino: ministero voluto da Cristo stesso, essenziale alla vita della chiesa cattolica, certo. Ma la forma e lo stile del suo esercizio non solo possono ma devono essere riformate, affinché la chiesa sia sempre più conforme alla volontà del suo Signore. Già Giovanni Paolo II aveva chiesto una riforma del papato, spingendosi fino a chiedere alle altre chiese non nella comunione cattolica di esprimersi, in modo da giungere all’obbedienza al Signore che ha voluto Pietro quale servo della comunione, colui che conferma la fede dei fratelli (UUS 95-96). Francesco confessa che purtroppo “siamo avanzati poco in questo senso” (EG 32); ma proprio per questo ha iniziato una consultazione affinché si possa trovare, soprattutto con le chiese ortodosse e d’oriente, una forma dell’esercizio del ministero petrino che tenga conto della sinodalità tanto irrinunciabile quanto già vissuta in quelle chiese. “L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito santo … se noi camminiamo insieme” (Omelia a San Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 2014). Con questa convinzione, dice ancora Francesco, “devo pensare a una conversione del papato. A me spetta, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli … Il papato e le strutture centrali della chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale (EG 32). Sì, c’è anche la volontà di una riforma delle strutture della chiesa, perché risplenda il primato del Vangelo e perché si giunga all’unità, alla comunione visibile voluta da Cristo per la sua chiesa.
Elemento non certo periferico a tale proposito, è il fatto che il papa abbia subito cercato di attuare la riforma a partire dalla sua persona: abitazione, modo di muoversi, nobile semplicità nella liturgia, prossimità vissuta con la gente, con il popolo di Dio, abolizione di ogni insegna principesca; e, su tutto, la sua convinzione intensa, eloquente, piena di forza, che Gesù è Vivente ed è il Signore della chiesa e del mondo, al quale vanno l’amore e il servizio obbediente, sempre, senza mai avere paura. Questa postura di papa Francesco mi meraviglia e mi conferma!
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