Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

“Tu sei il Figlio mio, l’amato”

07/01/2018 00:00

ENZO BIANCHI

Vangelo della domenica 2018,

“Tu sei il Figlio mio, l’amato”

7In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi..

Battesimo del Signore
di ENZO BIANCHI

Mc  1,7-11

7In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Con la festa del battesimo di Gesù si conclude il tempo liturgico delle manifestazioni, delle epifanie del Signore. Partorito da Maria a Betlemme, Gesù è stato manifestato ai pastori come il Salvatore e Signore, è stato manifestato nel tempio ai poveri di Israele che attendevano il Messia, infine è stato manifestato alle genti della terra, rappresentate dai magi, quale Re dei Giudei. Ora, immerso nelle acque del Giordano, è manifestato come il Figlio amato da Dio, che fa risuonare su di lui la sua parola rivelativa.

 

Il vangelo secondo Marco inizia proprio con l’annuncio, da parte di Giovanni il Battista, dell’entrata in scena di Gesù: “Viene dietro a me (opíso mou) uno che è più forte di me”. L’annuncio è sorprendente e scandaloso: tra quelli che seguono il Battista come discepoli, vi è un discepolo che in realtà è più forte di lui, il maestro, il profeta. Tra Giovanni e questo veniente vi è addirittura un rapporto che non può nemmeno essere paragonato a quello tra un servo e il signore cui questi scioglie i legacci dei sandali. Il Battista riconosce e annuncia soprattutto una differenza nelle rispettive missioni: egli immerge nell’acqua quanti confessano i propri peccati, mostrandosi disposti alla conversione; Gesù invece immergerà nello Spirito santo, nella forza stessa di Dio, inaugurando così i tempi della salvezza definitiva, realizzata mediante l’effusione dello Spirito su tutta l’umanità (cf. Is 32,15; Ez 36,25-27, ecc.).

 

Ecco apparire il Messia, “unto” con lo Spirito santo (cf. Is 11,2; 61,1), non con un’unzione umana: Gesù, da Nazaret di Galilea. Ma come appare, come viene? Essendo il Cristo, il Figlio di Dio, ci attenderemmo una venuta carica di gloria, una manifestazione che si imponga. E invece siamo in presenza di una scena nella quale non è evidenziato nulla di divino. Nella lunga fila di uomini e donne che si confessano peccatori e bisognosi di purificazione e di perdono da parte di Dio, c’è anche Gesù. Lui che è “senza peccato” (cf. 2Cor 5,21; 1Gv 3,5) si fa solidale con quanti sono in contraddizione con Dio e con la sua volontà, non si distingue da loro vantando come differenza la propria santità. No, senza esibizioni, senza protagonismo, chiede a Giovanni di essere immerso nelle acque del Giordano come gli altri penitenti. Ma per Gesù il battesimo ricevuto non coincide con la purificazione dei peccati, bensì con l’inizio di una precisa missione di comunione con gli ultimi, con i peccatori pubblici. 

 

Gesù, il cui nome significa “il Signore salva”, è connotato mediante la sua provenienza da Nazaret, villaggio della sua famiglia e della sua infanzia, luogo sconosciuto in tutto l’Antico Testamento. Per questo sarà chiamato “nazareno”, “quello di Nazaret”, “il profeta di Nazaret” (cf. Mc 1,24; 10,47; 14,67; 16,6). Sì, Gesù di Nazaret è un nome umano, umanissimo, ed è forse per questo che nell’ultimo secolo, all’interno della spiritualità cristiana e non solo, gode di una fortuna privilegiata rispetto ad altri suoi titoli o designazioni: questo non è un misconoscere la sua divinità, ma risponde al bisogno di affermare la sua umanità, che è innanzitutto solidarietà con noi uomini e donne.

 

Ed ecco che colui il quale è stato annunciato come uno che battezza, viene ora battezzato, immerso da Giovanni. Va detto con chiarezza: Giovanni immerge Gesù nel Giordano, lo sprofonda nelle acque, sicché Gesù è come immerso nella morte, affogato e poi rialzato, strappato al vortice che sommerge. È così che Gesù scende, raggiunge il “très bas”, l’ultimo posto che non gli sarà mai tolto! Non possiamo dimenticare che questa prima manifestazione pubblica di Gesù è apparsa scandalosa per i primi cristiani, i quali, acclamandolo nella fede quale Kýrios, Signore, temevano che in questo evento egli venisse percepito come inferiore al Battista. Così, progressivamente, non si ricorderà più il fatto che sia stato Giovanni a immergere Gesù (come se egli si fosse autoimmerso!). Non a caso, nel vangelo secondo Matteo Gesù stesso viene presentato come colui che deve convincere il Battista a immergerlo, vincendo la sua ritrosia: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15).

 

E invece proprio in questa condizione “bassa” avviene per Gesù una manifestazione di Dio, una teofania. Mentre egli risale dall’acqua, vede i cieli squarciati e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. Vede ciò che gli altri non vedono, riceve una rivelazione che agli altri resta nascosta. I cieli sono squarciati su di lui, Gesù ha piena comunione con Dio, la terra e il cielo sono in comunicazione. Viene ristabilita la comunione tra Dio e l’umanità dopo che, secondo la tradizione giudaica, i cieli si erano chiusi con la fine della profezia post-esilica (V secolo). E proprio in quei cieli aperti Gesù vede lo Spirito di Dio – lo Spirito che tante volte era sceso sui profeti, lo Spirito che costituiva l’unzione del Servo-Profeta annunciato da Isaia (cf. Is 61,1) – scendere su di lui come una colomba. 

L’invocazione tante volte innalzata a Dio dai credenti di Israele: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! “ (Is 63,19), è finalmente esaudita, e qui tale esaudimento ci viene narrato in primo luogo mediante l’immagine del volo dolce e pacifico di una colomba. Di più, proprio in quella pagina di Isaia si legge: “Dov’è colui (Dio) che fece risalire dal mare il pastore del suo gregge? Dov’è colui che pose in lui il suo Spirito santo?” (Is 63,11). Ecco perché Gesù riceve lo Spirito al momento di risalire dalle acque. Lo Spirito che scende su di lui è quello stesso Soffio che si librava, che covava come colomba, sulle acque della prima creazione (cf. Gen 1,2), e ora scende in Gesù (eis autón), il quale diventa la Dimora, la Shekinah di Dio.

 

Al tentativo di raccontare l’evento, l’azione di Dio, mediante l’immagine della colomba, si accompagna la parola pronunciata dalla voce che giunge dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento”. Dopo avere visto, Gesù ascolta una voce (la bat qol, “figlia di una voce”, secondo i rabbini) che gli dice innanzitutto: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”. È la parola che rivela a Gesù la sua identità più profonda, parola che Gesù dovrà interiorizzare nella sua vita umana per rispondere pienamente alla sua vocazione, alla sua missione, ma prima ancora alla sua verità. In questa dichiarazione di Dio, che giunge a Gesù attraverso lo Spirito santo, vi è l’eco di numerose dichiarazioni di Dio attestate nelle Scritture di Israele: “Tu sei il Figlio mio, oggi ti ho generato” (Sal 2,7); “Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio” (2Sam 7,14)…

 

Questa voce implica la paternità di Dio su Gesù e specifica che egli è l’unico Figlio, il Figlio amato, come lo era Isacco per suo padre Abramo (cf. Gen 22,2). Un Figlio che però, a differenza di Isacco, non sarà risparmiato dal sacrificio, perché – come dirà Gesù – i vignaioli perfidi, al vedere il Figlio amato, non lo risparmieranno, come si augurava il Padre, ma lo uccideranno e lo getteranno fuori della vigna (cf. Mc 12,6-8). Ecco dunque il Figlio amato di cui il Padre si compiace, perché è come il Servo nel quale egli ha posto il suo Spirito (cf. Is 42,1), il Servo eletto, scelto, eppure rifiutato…

 

Questa prima scena della vita di Gesù nel vangelo secondo Marco è posta significativamente in inclusione con il battesimo ultimo e definitivo, che Gesù conoscerà come adempimento della sua missione. Non a caso egli interrogherà i discepoli Giacomo e Giovanni chiedendo loro: “Potete essere immersi nell’immersione in cui io sono immerso?” (Mc 10,38). L’immersione nelle acque della morte, del rigetto e del tradimento, Gesù la vivrà nella sua passione, che sarà la sua epifania sulla croce: Gesù crocifisso tra due peccatori, in piena solidarietà con noi umani, così come aveva iniziato il suo ministero. Allora, quando i cieli sembrano chiusi, al suo spirare si squarcia il velo del tempio (cf. Mc 15,38), perché il Santo dei santi, il luogo della presenza di Dio sulla terra, del dialogo definitivo tra terra e cielo, è proprio lui, Gesù. Il velo squarciato è il segno che ogni essere umano può avere comunione con Dio attraverso il corpo di Gesù, corpo datore di Spirito e di vita.

 

In questa festa del battesimo noi discepoli e discepole di Gesù siamo condotti a considerare il nostro battesimo non solo come evento che segna l’inizio della vita cristiana, ma come dinamica quotidiana che ci chiede, alla sequela di Gesù, di morire a noi stessi e di vivere del suo Spirito. Ormai ciascuno di noi, grazie allo Spirito santo effuso nei nostri cuori, Spirito con cui siamo stati “unti” e resi cristiani, cioè “messianici”, può rivolgersi a Dio balbettando: “Abba, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6), e sentirsi da lui amato. E Dio ha una sola e unica parola in risposta ai nostri gemiti e alla nostra invocazione: “Tu sei amato, amata”. È questa parola che ci sostiene e ci fa andare con speranza verso l’immersione della morte.