Avvenire, 27 settembre 2013
di ENZO BIANCHI
Esiste un’esigenza di lotta spirituale, di combattimento per raggiungere la qualità propria di ogni essere umano, che accomuna credenti impegnati a discernere le loro incredulità e non credenti
Avvenire, 27 settembre 2013
di ENZO BIANCHI
Esiste un’esigenza di lotta spirituale, di combattimento per raggiungere la qualità propria di ogni essere umano, che accomuna credenti impegnati a discernere le loro incredulità e non credenti tesi a riaffermare le fondamenta del loro pensiero: è la lotta anti-idolatrica, la quotidiana fatica di rispondere alla fondamentale domanda “a chi o a che cosa, da persona libera, liberamente decido di obbedire?”. L’idolo – o, meglio, gli idoli, perché la non-unicità è loro caratteristica – continua a essere opera dell’uomo, e la sua creazione, sopravvivenza, trasformazione e funzionamento rispondono a precise istanze e bisogni antropologici.
Quello che emerge a livello di “simulacro”, di oggetto, si rivela autentico anche al livello più profondo dell’immagine: l’idolo - sia esso statua, realtà immateriale o ideologia – fornisce certezze riguardo al divino e la sicumera con cui le offre cela l’inganno più radicale, quello di non apparire ingannevole. Da questo aspetto nasce la sorprendente efficacia “politica” dell’idolo: anticamente esso rendeva vicino, a portata di mano il dio che, identificandosi con la polis, le assicurava un’identità e le garantiva protezione. Ecco perché, anche dopo il tramonto del paganesimo, la politica non ha cessato di suscitare “idoli”, esseri umani divinizzati che scongiurano il divino o, se si preferisce, il destino umano. È l’idolatria a conferire dignità al culto della personalità, a trasformarla in una figura “vicina”, familiare, addomesticata del divino. Si coglie allora la dimensione politica dell’idolatria, il suo essere un attentato alla libertà umana, e si comprende anche come la lotta anti-idolatrica richieda adesione alla realtà e l’attivazione di una dimensione spirituale, di uno spazio interiore, della capacità critica, affinché la libertà non sia solo libertà di reagire, ma di agire, di proporre, di progettare.
L’annullamento della distanza, poi, cioè questa “familiarità” che rende schiavi (non dimentichiamo che il termine familia indicava all’origine l’insieme dei servitori di una casa), si ritrova anche negli idoli “immateriali” così potenti oggi: non è un caso che uno dei miti da sempre più affascinanti – il successo in termini di potere, di denaro e di sesso – assecondi e dia sfogo a tre libidines insite in ogni essere umano: la libido dominandi, la libido possidendi e la libido amandi. Così, opera non delle mani ma delle pulsioni dell’uomo, queste tre forze si ergono di fronte a lui, gli chiedono adorazione e servizio, gli rubano la libertà promettendogli partecipazione al “divino”, accesso al sovrumano, protezione contro le forze mortifere.
Ora, quando il cedimento ai richiami delle tre libidines passa dalla sfera personale a quella sociale, assume connotati idolatrici che nella nostra società occidentale si possono identificare sul piano economico con l’adorazione di tutto ciò cui si può “dare un prezzo”, mentre sul piano etico e sociologico alimentano l’adeguarsi al comportamento della “massa”: giusto è quello che fanno tutti, in una sorta di riedizione demagogica dell’adagio vox populi, vox Dei. Ma l’opinione pubblica nella sua accezione degenerate di “gente” non è un’entità autonoma, libera, non è un corpo le cui membra interagiscono per il bene comune, bensì un agglomerato indefinito, un accostamento di individualità pesantemente manipolabile. In questo senso la realtà virtuale non solo supera, ma scaccia la realtà effettiva: allora vero, oggettivo è ciò che appare; lecito è ciò che tecnicamente è possibile; encomiabile è ciò che suscita invidia.
In fondo la strada verso l’idolatria resta sempre la stessa: un’affascinante strada di schiavitù, le cui catene e la cui gabbia appaiono sempre più dorate ma si rivelano sempre più rigide. È la strada dell’operare umano svincolato da un’istanza superiore – la dimensione del “divino” – che sola è capace di far emergere tutta la grandezza dell’essere umano e di conferirgli unità e pienezza. È significativo che per la bibbia non esistano gli atei, i senza-Dio: esistono invece gli idolatri ed esiste soprattutto la tentazione dell’idolatria che colpisce tutti, il credente come chi credente non si definisce. L’essere umano abbandonato a sé, che ignora o disprezza la dimensione interiore, la capacità del bene, la dignità dell’esistenza – quella che la fede chiama l’immagine di Dio – presenti in se stesso e nel proprio simile, è idolatra, è schiavo delle dominanti più istintive: se rinuncia a coltivare la propria dimensione spirituale, scoprirà il suo cuore preda degli elementi deteriori che lo disumanizzano. Per questo la lotta spirituale concerne tutti, si combatte nell’interiorità di ciascuno ed è più esigente di tutti i combattimenti esteriori..Ma, al contempo, la sua pratica costante produce anche frutti di pacificazione, di libertà, di mitezza e di carità: è grazie ad essa che la fede-fiducia diviene perseveranza nel bene, che la conoscenza di sé rinnova e vivifica le relazioni con l’altro, che l’amore viene purificato e ordinato.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: Avvenire