La Stampa, 7 settembre 2013
di ENZO BIANCHI
Preghiera e digiuno, a cui invita oggi papa Francesco, possono essere strumenti universali per discernere ciò che è bene per l’umanità tutta e non solo per la “nostra” parte
La Stampa, 7 settembre 2013
di ENZO BIANCHI
“È alieno dalla ragione pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Queste le parole di papa Giovanni nella Pacem in terris, l’enciclica indirizzata per la prima volta anche a “tutti gli uomini di buona volontà”. Poche settimane dopo Giovanni XXIII sarebbe morto e solo pochi mesi prima un suo intervento personale aveva scongiurato che la “guerra fredda” tra USA e URSS divampasse in conflitto nucleare a motivo delle tensioni attorno a Cuba. Oggi, a cinquant’anni di distanza, papa Francesco decide risolutamente di porre in gioco a sua volta tutta l’autorevolezza acquisita in pochi mesi di pontificato per fermare i venti di guerra che si addensano pericolosi sulla Siria.
L’appello per una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Medio Oriente e in tutto il mondo, i ripetuti vigorosi richiami per scongiurare la guerra, la convocazione del corpo diplomatico accreditato in Vaticano per spiegare le ragioni del dialogo e l’irragionevolezza della violenza, la lettera inviata al presidente Putin e ai partecipanti al G 20 a San Pietroburgo, i contatti discreti avviati dalla rete diplomatica vaticana: papa Francesco non sta lasciando nulla di intentato per fermare la corsa all’irreparabile. Papa Francesco si è posto come vero “intercessore” - da inter-cedere, “fare un passo tra” - perché si è messo tra le parti in conflitto, disarmato, senza difendere interessi propri, per chiedere la pace, offrendo così l’icona dell’autentica preghiera cristiana che si leva a Dio ma vuole essere al contempo efficace responsabilità tra gli uomini.
Non si tratta di ignorare che la situazione è già oggi e da tempo tragica in Siria come in altre parti del mondo per milioni di civili, non si tratta di attribuire responsabilità all’uno o all’altro campo – del resto i “campi” sono ben più di due e maledettamente intrecciati tra loro. Si tratta invece di aver colto un momento cruciale, un punto di non ritorno e di pronunciare parole forti, profetiche, “ascoltino o non ascoltino!”, come ammonisce il profeta Ezechiele (Ez 2,5). Nel vibrante appello del papa non ci sono calcoli di opportunità o valutazioni sull’effettiva possibilità di successo dell’intervento: una parola forte contro la guerra, la violenza e i massacri va pronunciata non perché si è certi che sarà ascoltata, ma perché è giusto e doveroso farlo, è decisivo ricordare a chi finge di avere una memoria corta o distorta la molteplicità di conflitti avviati in modo limitato, puntuali, di breve durata e trasformatisi in tragedie immani. Nell’era atomica, nell’era delle armi di distruzione di massa – indipendentemente da chi ne dispone – è davvero “alieno dalla ragione” pensare di ristabilire la giustizia violata attraverso quello strumento di morte che sempre è la guerra.
Papa Francesco riprende con vigore e timbro propri l’appassionato grido di numerosi suoi predecessori sulla cattedra di Pietro: la guerra “inutile strage”, il “tutto è perduto con la guerra”, il “mai più la guerra!” sono espressioni forti usate da almeno un secolo dai vari papi, da Benedetto XV a Giovanni Paolo II. Ed è significativo che oggi papa Francesco trovi una profonda sintonia e un convinto appoggio da parte dei vescovi di tutto il mondo, anche nelle nazioni maggiormente implicate nei conflitti in atto o imminenti. Se possiamo considerare tragicamente “normale” che tutte le chiese di Siria e del Medioriente siano unanimi nel chiedere di scongiurare la risposta delle armi alla violenza ingiusta e disumana che già stanno subendo, sorprende favorevolmente, per esempio, la ferma posizione di episcopati come quello statunitense, che invita i membri del Congresso USA a respingere la proposta di attacco militare alla Siria. Nella stessa linea si può leggere l’accorato appello dei vescovi italiani, pronti questa volta a unirsi alla voce del papa.
Ma, viene da chiedersi, come possono preghiera e digiuno nella loro disarmata debolezza far fronte e arrestare mostruose macchine da guerra che interessi sovente inconfessabili mantengono efficienti e funzionanti proprio al prezzo di continui conflitti in aree che si pensa di poter controllare e limitare? Ora, per un credente la preghiera è dialogo con Dio, ascolto della sua Parola e invocazione perché porti a compimento ciò che gli uomini possono solo iniziare. Ma in senso più lato pregare è anche “pensare davanti all’Altro”, porsi di fronte a istanze etiche che ci superano e chiedono di rileggere la nostra vita e gli eventi in una luce che non guardi solo o primariamente ai propri interessi. In questo senso, credo, la preghiera è condivisibile anche da chi credente non è, da quegli “uomini di buona volontà” che – secondo il significato originale del Vangelo di Matteo che usa questa locuzione – non sono le persone che hanno buone intenzioni, bensì gli esseri umani tutti, oggetto del beneplacito, della “buona volontà” di Dio. Il digiuno, poi, è prassi presente non solo in tutte le tradizioni religiose ma anche nel pensiero filosofico, nell’azione politica e nel comportamento etico di uomini e donne di ogni area culturale e geografica. Esso è strumento di conoscenza di se stessi, di lettura dei propri desideri ed è antidoto alla voracità di possesso che ci abita.
Ecco allora che preghiera e digiuno, a cui invita oggi papa Francesco, possono essere strumenti universali per discernere ciò che è bene per l’umanità tutta e non solo per la “nostra” parte, per prendere decisioni con criteri altri, diversi rispetto all’autoreferenzialità e al proprio tornaconto. Certo, a coloro che hanno responsabilità di governo non sono chiesti “gesti simbolici”, ma assunzione di responsabilità e, soprattutto, coerenza tra ciò che dichiarano – magari perché cattolici e pronti a ossequiare il papa – e le modalità del loro esercizio del potere e della loro azione politica. Sperare che milioni di persone che pregano e digiunano in tutto il mondo possano cambiare le sorti della storia può apparire un sogno utopico, ma è responsabilità di ciascuno di noi far sì che l’utopia trovi un luogo in cui dimorare, che l’insperabile diventi realtà, che pace e giustizia si abbraccino e che l’uomo non sia più nemico all’uomo.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Stampa