Corriere della sera
24 settembre 2012
di ENZO BIANCHI
Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio
Corriere della sera, 24 settembre 2012
di ENZO BIANCHI
Tra meno di un mese cadrà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II: l’11 ottobre 1962 papa Giovanni XXIII pronunciò la famosa allocuzione Gaudet mater ecclesia che diede inizio ai lavori conciliari manifestando l’intenzione e le aspettative del papa che aveva convocato quell’assise di tutti i vescovi del mondo solo cento giorni dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro. È su quel mattino di ottobre che si apre Ritrovare il concilio (Einaudi, pp. 132, € 10,00), l’appassionato e scorrevole libro di Giuseppe Ruggieri: l’autore era all’epoca giovane studente di un collegio ecclesiastico romano ed era stato “assunto” tra gli stenografi latini incaricati di annotare gli interventi dei padri conciliari e stendere i verbali delle congregazioni, le sedute quotidiane del Vaticano II. Ruggieri l’11 ottobre era dunque in San Pietro, testimone attonito e privilegiato di un evento di cui avrebbe ben presto capito la rilevanza epocale. Ma nel suo breve saggio i ricordi autobiografici sono limitati alla breve Premessa. Subito dopo, il vivace stenografo siciliano lascia il posto al teologo che ha grande dimestichezza anche con la storia della chiesa e che cerca di “ritrovare il concilio”, appunto, scandagliando quattro grandi assi del dibattito e dei conseguenti documenti conciliari: la parola di Dio, la storia, la chiesa, gli altri.
Questa sapiente rilettura, prima di addentrarsi negli snodi decisivi del Vaticano II, affronta però il tema decisivo del concilio come “evento”, espressione che a volte si è prestata a interpretazioni divergenti. Ruggieri sostiene che “ogni concilio è un evento particolare” e che “il concilio non è riducibile alle sue decisioni” e questo – mi sembra di poter dire – è vero non perché ciò che conta sarebbero l’entusiasmo o le sensazioni dei partecipanti a scapito dei testi laboriosamente approvati, ma perché un’assemblea di vescovi successori degli apostoli, presieduta dal successore di Pietro su cui Gesù ha fondato la sua chiesa, un’assemblea che pone al proprio centro il libro del Vangelo, che invoca lo Spirito santo e i suoi doni, che si vuole e si sa “convocata” dal Signore stesso, è nella fede un evento spirituale capace di agire nella storia e di orientarla.
Ben ha riassunto questa dimensione performativa del Vaticano II papa Benedetto XVI nel discorso di giovedì scorso ai vescovi di recente nomina, citando proprio due discorsi di papa Giovanni – quello di apertura del concilio e quello alla chiusura del primo periodo – e collegandoli significativamente con la “nuova evangelizzazione” su cui rifletteranno il mese prossimo i vescovi riuniti in sinodo a Roma: “Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava: «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo». Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività. Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità”.
Ruggieri esamina, dicevamo, i quattro ambiti dove a suo giudizio il “balzo innanzi” auspicato da papa Giovanni ed evocato da Benedetto XVI ha saputo presentare in modo rispondente alle esigenze del tempo la “dottrina certa e immutabile” della chiesa, prezioso tesoro da custodire e tramandare. La ritrovata centralità della Scrittura nella liturgia, nella celebrazione dei sacramenti, nella catechesi e nella vita di preghiera dei singoli fedeli ha aperto nuove strade alla corsa della Parola nella storia, verso quella “pienezza della verità divina” cui, come dice il concilio, “la chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente” (DV 8). Questa rinnovata familiarità con la parola di Dio contenuta nelle Scritture diviene anche criterio di discernimento nelle vicende umane, nel quotidiano “farsi” della storia e nelle modalità della presenza della “chiesa nel mondo contemporaneo”. Grazie alla ricchezza dei documenti conciliari e al fecondo dibattito che li ha originati anche i rapporti della chiesa con “gli altri” sono nuovamente illuminati dalla luce purificatrice del vangelo, siano questi altri il popolo ebraico – non più considerato “deicida”, ma depositario di promesse non revocabili perché provenienti da Dio – o i cristiani di altre confessioni, i quali “giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore” (UR 3), o ancora i credenti di altre religioni, le quali “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (NÆ 2).
Sono queste le considerazioni che, sorrette da una pertinente documentazione, fanno dire a Ruggieri che “il Vaticano II ha introdotto un nuovo paradigma dell’esistenza ecclesiale”: nuovi stili – diremmo noi – per annunciare il vangelo eterno.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: Corriere della Sera