La Stampa, 11 marzo 2012
di ENZO BIANCHI
C’è da rallegrarsi a ritrovare nelle librerie un’opera come Essere cristiani di Hans Küng, a quasi quarant’anni dalla prima pubblicazione
La Stampa, 11 marzo 2012
C’è da rallegrarsi a ritrovare nelle librerie un’opera come Essere cristiani di Hans Küng, a quasi quarant’anni dalla prima pubblicazione: “un’introduzione all’essere cristiani ... una piccola ‘summa’ della fede cristiana” secondo le parole stesse dell’autore, volta a presentare “non un Vangelo diverso, ma lo stesso Vangelo di sempre, riscoperto per il nostro tempo”. Un’analisi densa e articolata del cristianesimo a partire dal Gesù storico e dal suo annuncio della “buona notizia”, una ricerca condotta con competenza e grande sensibilità ecumenica da un allora giovane teologo cattolico che aveva partecipato al concilio Vaticano II come esperto.
Küng era e rimane un appassionato di Cristo, un credente convinto che il Vangelo possa parlare al cuore e alla mente di uomini e donne di ogni tempo e di ogni cultura, un pensatore che non teme di affrontare le sfide del dialogo con la ragione e con le altre religioni. E l’impatto profondo che questa sua opera ha avuto presso tanti cristiani e anche presso chi era estraneo alla chiesa o si era ritirato ai margini di essa ne sono una prova inequivocabile. Parlo di “impatto” e non di “successo” perché se sui numeri delle copie vendute di un libro possono incidere tanti fattori contingenti o meno, anche estranei al contenuto, sugli effetti duraturi che un’opera può avere e sull’arricchimento personale che riesce ad offrire anche a distanza di anni solo il messaggio del testo può influire. In questo senso Küng non solo espone “una” possibile introduzione al cristianesimo – per quanto ricca e documentata – ma, attraverso di essa, lascia trasparire la passione di una ricerca assidua del radicalismo evangelico, comunica a un largo pubblico il clima spirituale e la volontà di dialogo che hanno segnato la feconda stagione della chiesa nel postconcilio, getta squarci di luce su orizzonti di speranza.
Certo, Essere cristiani è stata e rimane anche un’opera altamente controversa: assieme ad altri suoi testi di quella stagione gli valse il ritiro della “missio canonica” per l’insegnamento della teologia nelle facoltà cattoliche, senza tuttavia che si giungesse a una condanna nei confronti dell’autore e della sua teologia. La complessità dei problemi sollevati, la durezza di certi accenti polemici, l’incomprensione reciproca ha portato a scavare un fosso sempre più ampio tra Küng e il magistero cattolico. E proprio qui il rammarico si unisce al compiacimento per la riedizione di Essere cristiani. Sì, perché questo testo fa toccare con mano la grande opportunità che non si è saputo o potuto cogliere. Il teologo svizzero, infatti, proponeva “una introduzione [all’essere cristiani]: un’introduzione diversa o diversamente orientata non incorre nella scomunica, ma chiede invece un po’ di tolleranza”. La scomunica non è giunta, ma anche la tolleranza è rimasta latitante: poteva innescarsi un dialogo estremamente fecondo all’interno della chiesa stessa, un dialogo magari anche aspro, che avrebbe però arricchito dal di dentro la comunità dei credenti alla quale Küng non ha mai smesso di appartenere. Invece si è acconsentito a un progressivo estraniamento della ricerca teologica di Küng dal cuore del messaggio cristiano e, soprattutto, dal contesto cattolico. Normale e positivo progresso di una ricerca teologica libera e indipendente? Forse è stato così dal punto di vista dell’autore. Dal punto di vista della comunità cristiana, non solo cattolica, del suo cammino ecumenico, della sua ricerca di sempre maggiore fedeltà al Vangelo, si è trattato piuttosto dell’incrinarsi di una voce dovuta alla perdita di autorevolezza oggettiva (quella soggettiva è rimasta intatta, anzi, si è forse rafforzata): le posizioni di Hans Küng, così stimolanti per i cristiani di oggi e per l’uomo contemporaneo non hanno più avuto come luogo di confronto e di risonanza la comunità cattolica in quanto tale. Eppure i problemi sollevati nell’opera – il ruolo della parola di Dio, il significato del Gesù storico, la funzione dell’autorità, le modalità dell’esercizio del ministero presbiterale, il dialogo ecumenico e con le altre religioni, l’apertura al mondo... - restano ineludibili ancora oggi e la riflessione teologica ha tuttora da guadagnare a tener conto dell’analisi acuta e tagliente di Küng.
Non a caso, la breve prefazione alla nuova edizione di Essere cristiani si chiude con la medesima frase posta a sigillo dell’edizione originale del 1974, affermazione definita dall’autore stesso “il mio credo”: “Seguendo Gesù Cristo l’uomo nel mondo d’oggi può vivere, agire, soffrire e morire in modo veramente umano: nella felicità e nella sventura, nella vita e nella morte, sorretto da Dio e fecondo di aiuto per gli altri”. Sì, la sequela cristiana, il camminare sulle tracce di Gesù di Nazaret che ha narrato Dio può avere senso per l’uomo di ogni tempo e cultura, per la riscoperta dell’umanità che lo abita: colui che la fede confessa come “vero Dio e vero uomo” restituisce all’uomo la sua qualità e dignità più profonda.
ENZO BIANCHI
Pubblicato su: La Stampa