Avvenire, 13 gennaio 2012
di ENZO BIANCHI
Le “visioni” di Clément sono semi della Parola sparsi con abbondanza e irrigati con sapienza antica come la chiesa una
Avvenire, 13 gennaio 2012
di ENZO BIANCHI
Già tre anni sono trascorsi dal passaggio di Olivier Clément dalla morte alla Vita, tre anni in cui la sua voce di appassionato dell’unità dei cristiani continua a risuonare dai suoi scritti che narrano i tesori della chiesa indivisa e li offrono non solo ai fedeli di tutte le confessioni ma a tanti uomini e donne assetati di senso. In questi tre anni, per ben due volte consecutive i cristiani hanno celebrato tutti insieme la Pasqua, cuore della loro fede, testimoniando almeno attraverso il calendario l’unicità del loro Signore e della sua comunità nella compagnia degli uomini: una coincidenza che tanto avrebbe rallegrato quell’uomo di Dio nato e cresciuto in un ambiente ateo.
Fu proprio la sua passione per la “chiesa una” a colpirmi quando lo conobbi, ormai più di quarant’anni fa: reduce da una visita al patriarca ecumenico Athenagoras – visita straordinaria per me, da poco raggiunto da alcuni fratelli decisi a condividere la mia ricerca di vita comune nel celibato – ritrovai nel libro Dialoghi con il patriarca Athenagoras che Clément aveva appena pubblicato in francese tutto lo spessore umano e spirituale di quel vescovo che aveva saputo condurre per mano la chiesa ortodossa attraverso l’allora inedito cammino dell’ecumenismo. Volli incontrare l’autore non tanto per parlare con lui della traduzione in italiano del suo lavoro – progetto che effettivamente proposi con successo all’editore Gribaudi – ma per vederne il volto e ascoltarne la voce, per cercare di cogliere in quegli occhi vivacissimi la trasparenza del Vangelo e l’amore per la chiesa e per l’umanità tutta.
Il primo incontro, e i numerosissimi che lo seguirono in un’amicizia pluridecennale, fu davvero il faccia a faccia con un autentico “visionario”, per usare il termine da lui stesso applicato agli uomini spirituali: una persona capace di guardare e vedere “al di là”, di affinare il proprio sguardo uniformandolo a quello di Cristo, di contemplare la realtà quotidiana all’interno del meraviglioso disegno di amore di Dio. La sua capacità di andare al cuore del Vangelo non nonostante bensì attraverso la storia stessa della chiesa, il suo nutrirsi della sapienza dei padri, il suo amore per la bellezza mi impressionarono: credo che per lui l’aver scelto la chiesa ortodossa come matrice e alveo della sua fede cristiana di adulto fosse stato il modo più semplice per sentirsi innestato a Cristo attraverso la chiesa indivisa, per sentirsi parte della comunità del risorto, di quel gruppo di discepoli impauriti ma trasfigurati dall’inattesa gioia della risurrezione. Per questo non aveva difficoltà alcuna a dialogare con cristiani di altra confessione: per lui l’ecumenismo era parte del suo stesso respiro ecclesiale, un ritrovarsi tra fratelli che cercavano di ritrovare insieme l’unico Signore.
Ripenso anche all’ultimo dei nostri incontri, quando avevamo deciso di riprendere con rinnovato vigore il suo progetto di un’antologia ragionata di testi patristici, progetto che purtroppo sarebbe giunto a compimento solo dopo la sua morte: volle che la presentassimo come “{link_prodotto:id=933}”, nuovo “amore del bello”, perché riteneva necessario offrire una nuova raccolta di quei testi antichi, un florilegio capace di far percepire agli uomini e alle donne di oggi l’unitarietà e insieme la variegata bellezza del patrimonio cristiano: nella stagione in cui le chiese d’oriente e d’occidente hanno ripreso non solo parlarsi, ma anche a scambiarsi autentici tesori di spiritualità, bisogna infatti predisporre strumenti che rendano accessibili a un più vasto pubblico parole evangeliche che non conoscono né accettano barriere confessionali.
Clément non temeva di usare parole profetiche, a volte scomode per gli uni o poco diplomatiche per altri: gli ardeva nel cuore l’amore per il Signore, la parresia evangelica, la luce gioiosa della risurrezione, dimensioni di fede che mal si adattavano a calcoli e a opportunismi. Del resto, Clément sapeva cogliere quella luce della risurrezione e tradurla in speranza anche nelle situazioni più difficili, anche per quanti giacevano nelle tenebre, protagonisti di “memorie dal sottosuolo” chiamate a diventare testimonianze della grandezza e della dignità di ogni essere umano.
Certo, a tre anni di distanza, la sua passione per l’unità dei cristiani ci manca: ci manca il suo non arrendersi alla divisione, il suo scavare negli scritti dei padri per ritrovare la consonanza del Vangelo, ci mancano il suo sguardo fisso sul Risorto, il suo acume teologico, la sua compassione per l’uomo sofferente. Ma non è una mancanza nostalgica, non è amarezza di delusione, non è rimpianto di una stagione che non torna. È piuttosto anelito che si fa più forte proprio grazie a un “vuoto”, è un’assenza che fa sentire tutto il peso e la ricchezza del suo “essere lì”, come un’impronta che ci ricorda che quel cammino è stato percorso, è possibile, è anche alla nostra portata. Sì, le “visioni” di Clément sono semi della Parola sparsi con abbondanza e irrigati con sapienza antica come la chiesa una: sono semi che il Signore stesso non cessa di far crescere.
Enzo Bianchi
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