Febbraio 2008
Commento esegetico spirituale alle lettere di Giovanni
«L'amore vince la morte!»: l'esperienza umana elaborata dalle diverse culture è giunta ben presto alla consapevolezza del legame fortissimo tra amore e morte (eros e thanatos) e la Bibbia ha colto con estrema lucidità l'inimicizia che regna tra loro, i due nemici per eccellenza: non sono tanto la vita e la morte a contrapporsi, bensì l'amore e la morte. La morte che tutto divora, che vince la vita, trova nell'amore l'unico nemico capace di resisterle: questa la buona notizia della Scrittura.
Forte è la morte, che è capace di privarci
del dono della vita;
forte è l'amore, che è capace di donare di nuovo
la possibilità di una vita migliore.
Forte è la morte, che ha il potere di spogliarci
dell'abito di questo corpo;
forte è l'amore, che ha il potere di strappare
alla morte il suo bottino e di riconsegnarlo a noi.
Forte è la morte, a cui nessun uomo
può opporre resistenza;
forte è l'amore, che può trionfare sulla stessa morte,
smussare il suo aculeo,
porre fine alle sue rivendicazioni,
svergognare la sua vittoria.
Baldovino di Ford
dalla prefazione di ENZO BIANCHI
ENZO BIANCHI
L'amore vince la morte,
© San Paolo 2008
Corriere della Sera - 02/04/2008
Enzo Bianchi sulle lettere di Giovanni
IL DESTINO SOSPESO TRA LUCE E TENEBRE
di Giorgio Montefoschi
Il titolo dell’ultimo libro di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, è L’amore vince la morte (Edizioni San Paolo, pagine 204, e 14): un commento esegetico- spirituale alle Lettere di Giovanni, molto bello e profondo, e soprattutto estremamente chiaro. In altre parole: uno di quei libri espliciti, di cui di tanto in tanto si sente il bisogno - e, ora, questo bisogno pare più che mai impellente - affinché cristiani e non cristiani, atei e credenti, possano riflettere, al di là di tante discussioni, sull’essenza dell’essere cristiani. Perché la realtà è che ai cristiani si chiede di credere in cose assai ardue, impossibili; in misteri certamente
non praticabili da alcuna ragione: questo può riconoscerlo chiunque. E tuttavia, quelle verità impossibili, così difficili da accettare nella fede, sono inequivocabili, non offrono grandi margini di interpretazione: sono verità a cui si crede oppure no. Mentre noi, talvolta, lo dimentichiamo: cedendo alla tentazione di voler confortare l’oscurità e il timore con uno sforzo del pensiero.
Cosa vuol dire che l’amore vince la morte? Scrive, proprio all’inizio del suo libro, Enzo Bianchi: «Gesù che ha vissuto l’amore in modo pieno, fino all’estremo, Gesù che è stato carne del Dio che è amore ha sconfitto
la morte perché non era possibile che l’amore restasse preda degli inferi, luogo del non amore». Questo, nella sua estrema sintesi, è il fulcro del credo cristiano che la Prima Lettera di Giovanni specchia nel Quarto Vangelo: il Vangelo, se vogliamo, più implacabile, e più colmo d’amore. Tutto, spiega il priore di Bose, nasce dai versetti 5-7 della Lettera: «Questo è il messaggio che abbiamo ascoltato da lui (dal Figlio) e ora annunciamo a voi: Dio è luce e in lui non c’è tenebra ». È quanto afferma, nel Prologo, l’evangelista. Dio è luce: in Dio non vi è posto per la tenebra, poiché egli è luce. Ma Dio è venuto nel mondo. La sua luce, cioè la Parola fatta carne, è venuta nel mondo per dare al mondo la vita e salvarlo.
Il mondo non ha riconosciuto questa luce e le tenebre hanno tentato di sopraffarla. Ma non ci sono riuscite. Perché la luce fatta carne, il Figlio, ha vinto le tenebre. «La luce che ha illuminato l’oscurità», osserva, così, Enzo Bianchi, «non proviene dunque solo dal Padre, ma anche dal Figlio, che ha vinto il mondo, cioè le tenebre». Cioè, la morte.
I cristiani, molti o pochi, che dicono di essere cristiani, devono credere a questo. Devono credere che Dio è luce; che la luce di Dio, la sua sostanza, è amore; che Dio ha manifestato il suo amore incarnandosi, assumendo nel Figlio, la sembianza umana, per amore dell’uomo e del mondo; che «il culmine della rivelazione di Dio che nessuno ha mai visto sta proprio nella vita di Gesù, il Figlio: una vita che è stata amore per gli uomini, amore vissuto fino alla morte e alla morte di croce e sfociata nella risurrezione in cui l’amore ha vinto la morte»; che Cristo, alla fine dei tempi, tornerà a prenderci, e ci porterà con sé, perché al Padre ha chiesto: «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo » (Gv 17,24); finalmente, che il grande dono di Dio si manifesta nel fatto che egli ha reso gli uomini suoi figli: che anche noi, come Gesù, siamo figli di Dio.
Non è facile. Chi può dire di possedere una fede vera, incrollabile, in queste verità – il Dio che si fa carne, il Figlio che muore per noi e risorge nella carne, noi che risorgeremo nella carne, un giorno, e ci ritroveremo - che fin dal loro apparire nel buio delle tenebre, sono apparse scandalose al mondo?
Chi può dirsi profondamente cristiano se lo stesso priore di Bose, nel suo splendido commento al Padre Nostro, afferma che la più grande tentazione dalla quale ci dobbiamo salvare è l’incredulità? Eppure, l’amore vince la morte. Quella è una verità che, amando, capiamo.
Non sappiamo in che modo. Ma lo sappiamo. È la sola verità che sentiamo e capiamo. Perché, se davvero gli inferi sono il luogo del non-amore, sono la morte, allora la vita - come ci ha mostrato Gesù - è il contrario. Cioè il luogo dell’amore. Un luogo: l’esistente.