Il Blog di Enzo Bianchi

Il Blog di Enzo Bianchi 

​Fondatore della comunità di Bose

Lectio divina su Gv 21,1-14

27/10/2007 00:00

ENZO BIANCHI

Lectio Divina,

Lectio divina su Gv 21,1-14

Il vangelo secondo Giovanni ci ha narrato nel capitolo 20 che Gesù, dopo la sua morte in croce, morte gloriosa perché segnata dalla gloria dell’amore, si è...

Lourdes, 27 ottobre 2007


Ecclésia 2007


Una missione guidata da Pietro in obbedienza al comando di Gesù, riconosciuto vivente grazie alla contemplazione che è ascolto e capacità di custodire nel cuore il suo amore. 

Lectio divina del priore di Bose, ENZO BIANCHI tenuta a Lourdes sabato 27 ottobre 2007 in occasione di Ecclésia 2007, un raduno di 7500 catechisti e operatori pastorali di tutte le diocesi della Francia con la partecipazione di 40 vescovi della Conferenza Episcopale Francese.

Introduzione

 

Il vangelo secondo Giovanni ci ha narrato nel capitolo 20 che Gesù, dopo la sua morte in croce, morte gloriosa perché segnata dalla gloria dell’amore, si è mostrato vivente nel primo giorno della settimana a Maria di Magdala (cf. Gv 20,11-18), poi ai discepoli riuniti insieme (cf. Gv 20,19-23) e di nuovo «otto giorni dopo» ai discepoli con i quali si trova anche Tommaso (cf. Gv 20,26-29). 

 

Ma l’appendice aggiunta più tardi al vangelo da parte della comunità del discepolo amato, il capitolo 21 che abbiamo ascoltato, ci racconta un altro incontro di Gesù con i suoi sul mare di Tiberiade: «Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade» (Gv 21,1). In questo brano più che un’apparizione di Gesù risorto viene narrata la resurrezione dei discepoli. Nel racconto, infatti, il passaggio dalla notte al mattino, dunque dalle tenebre alla luce, è accompagnato da un altro decisivo passaggio: quello dall’ignoranza («I discepoli non sapevano che era Gesù»: Gv 21,4) alla conoscenza di Gesù(«Sapevano bene che era il Signore»: Gv 21,12). Se questo è il mutamento fondamentale, alla sua luce possono essere letti anche il passaggio dalla pesca infruttuosa («In quella notte non presero nulla»: Gv 21,3) alla pesca abbondante («Gettarono la rete e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci»: Gv 21,6) e quello dall’assenza di cibo (cf. Gv 21,5) alla partecipazione al pasto preparato da Gesù stesso (cf. Gv 21,9-12). 

 

1. «In quella notte non presero nulla»

 

Ma cosa ci dice più in profondità questo racconto? I discepoli hanno già incontrato il Signore risorto a Gerusalemme due volte, nel primo giorno della settimana, eppure nonostante queste conferme della resurrezione sembrano ancora bisognosi di incontrarlo: la fede non è mai acquisita per sempre, è sempre un evento, un divenire che può conoscere una crescita ma anche contraddizioni e regressioni, le quali rischiano di vanificare le esperienze di fede vissute in precedenza… 

 

Sul mare di Galilea troviamo Simon Pietro, Tommaso, colui che aveva confessato Gesù come «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), Natanaele, che aveva detto: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele» (Gv 1,49), i figli di Zebedeo e altri discepoli anonimi. Non si precisa il giorno, ma viene soltanto detto che questi discepoli erano sette, cioè una comunità il cui numero narra la totalità e l’universalità. Simon Pietro prende l’iniziativa della pesca e gli altri decidono di seguirlo, di partecipare a quell’impresa che rappresenta la missione della comunità; con grande decisione e convinzione essi affermano: «Veniamo anche noi con te» (Gv 21,3). Tutti insieme escono dunque in mare aperto, «ma in quella notte non presero nulla» (ibid.)… A seguito di questa pesca infruttuosa i discepoli si apprestano a tornare verso la spiaggia, «quando ormai giunge il mattino» (Gv 21,4). 

 

Sulla spiaggia c’è Gesù, anche se i discepoli non lo sanno: come Maria di Magdala, lo incontrano ma non sanno che è lui (cf. Gv 20,14)… Ed ecco che Gesù prende l’iniziativa e chiede: «Piccoli figli, non avete nulla da mangiare?» (Gv 21,5). Egli si rivolge loro con un appellativo affettuoso, paterno e materno insieme – teknía, piccoli figli –; è come se dicesse: «Non temete, non vi ho lasciati orfani, privi di me», compiendo così la promessa fatta in occasione dei discorsi di addio (cf. Gv 14,18). Gesù è lo stesso ma è anche diverso, per questo i discepoli non lo riconoscono e gli rispondono laconicamente: «No, non abbiamo nulla» (Gv 21,5). In tal modo essi confessano la loro mancanza, il loro essere immersi in una situazione negativa, priva di sbocchi…

 

2. «È il Signore!»

 

A questo punto Gesù sollecita ancora i discepoli: «Gettate la rete sul lato destro della barca e troverete» (Gv 21,6): sono parole che richiedono fede, pronta obbedienza, sono un comando e una promessa alla quale Pietro e i suoi compagni subito aderiscono. E non appena eseguono quest’ordine ecco che la rete diviene stracolma di pesci, ma essi sono di nuovo preda della loro debolezza e povertà: «non avevano la forza per tirarla su» (ibid.)… 

 

È allora che il discepolo amato, colui che al solo vedere la tomba vuota aveva creduto (cf. Gv 20,8), riconosce in quell’evento l’azione e lo stile di Gesù e subito grida agli altri: «Ho Kýrios estin! È il Signore!» (Gv 21,7). Il discepolo amato, il credente che ha esperienza dell’amore del Signore, colui che ha posato il capo sul grembo di Gesù quasi a mettersi in ascolto del suo cuore (cf. Gv 13,23-25), sa leggere i segni e diventa capace di riconoscere Gesù, rispondendo con l’amore al suo preveniente: «È il Signore!».

 

Sì, siamo condotti a contemplare la barca della chiesa in mezzo ai flutti della storia, a mettere in conto anche la possibilità di missioni senza frutto, di evangelizzazioni senza risultato; nello stesso tempo, però, questa pagina ci spinge a credere che, se la missione avviene in obbedienza al Signore, nella docilità alle sue indicazioni e nella ricerca della sua volontà, allora vi è abbondanza di frutti, allora si è resi davvero «pescatori di uomini» (Mc 1,17; Mt 4,19). E forti di questa consapevolezza possiamo proclamare con gioia: «È il Signore!», ovvero: «Il Signore risorto è in mezzo a noi, è presente ancora oggi e opera con noi»… 

 

Il discepolo amato indica il Signore anche a Pietro, il quale, pur avendo il compito di guidare la pesca, non è stato sufficientemente attento ai segni di quell’alba. Egli però sa obbedire alle indicazioni del discepolo amato, «colui che rimane» – come lo definirà Gesù subito dopo (cf. Gv 21,22-23) –, e nella sua nudità si getta in mare, quasi a volere essere immerso e risollevato dall’acqua come creatura nuova (cf. Gv 21,7).

 

3. «Gesù venne, prese il pane e lo diede loro»

 

Mentre Pietro è immerso nelle acque della rinascita, gli altri discepoli trascinano la rete piena di pesci sulla spiaggia (cf. Gv 21,8): essi sono attirati da Gesù, che sulla riva del mare sta vicino a braci sulle quali sono posati del pane e dei pesci (cf. Gv 21,9). Accanto a Gesù vi è il cibo che egli aveva distribuito quando, in occasione della sua seconda Pasqua, aveva moltiplicato pani e pesci (cf. Gv 6,9-11). È quel pane che Gesù aveva identificato con «la sua carne data per la vita del mondo» (cf. Gv 6,51): sì, Gesù dà se stesso, è lui che prepara il pasto, prepara la tavola, è lui che provvede il cibo che dona vita, è lui la presenza sempre preveniente!

 

Gesù chiede ai discepoli di portare anche il pesce che avevano preso, ed è Pietro che, riemerso dalle acque, esegue l’ordine e «trae a terra la rete piena di 153 grossi pesci» (Gv 21,11). Nella profezia sul tempio escatologico Ezechiele aveva contemplato sul lato destro del tempio acque pescose e sulle rive di En-Eglaim una distesa di reti (cf. Ez 47,1.8-10); forse nell’annotazione sui 153 pesci vi è un rimando a questo brano, perché il calcolo numerico delle lettere ebraiche che compongono il toponimo En-Eglaim, la cosiddetta ghematria, dà come risultato proprio 153. Saremmo così condotti alla visione della chiesa come tempio escatologico, della comunità cristiana come luogo della missione universale e della presenza di Dio manifestata dal Risorto. Secondo Girolamo, d’altra parte, i 153 pesci simboleggiano tutte le genti della terra, essendo questo il numero delle specie di pesci marini esistenti. In ogni caso, quella che qui viene evocata è l’universalità della missione della chiesa e l’universalità della raccolta degli uomini intorno al Risorto e alla sua comunità.

 

«E benché i pesci fossero tanti, la rete non si spezzò» (Gv 21,11): splendida questa annotazione inserita come un sigillo da parte della comunità del discepolo amato. La rete non si strappò allora, nella comunione vissuta tra la grande chiesa petrina e la chiesa del discepolo amato, capaci di un’unica confessione del Risorto. Purtroppo però sappiamo bene che questa rete si spezzerà più tardi… 

 

Ormai tutti i discepoli presenti sulla riva sono consapevoli che il Signore è in mezzo a loro e nessuno gli chiede: «Chi sei?» (Gv 21,12). Dopo averli invitati a mangiare, Gesù si avvicina – lett. «viene» (érchetai: Gv 21,13), lo stesso verbo utilizzato per le manifestazioni del Risorto in Gv 20,19.26 – e compie il gesto eucaristico («prese il pane e lo diede loro»: cf. Mc 14,22 e par.; 1Cor 11,24). Così i discepoli sono addirittura «incorporati al logos», formano un solo corpo con Gesù. Per questo Gesù si astiene dal mangiare: egli è il vero cibo di cui il pane da lui offerto è segno! Così «l’eucaristia celebra la relazione tra i discepoli e il Signore Gesù, l’eucaristia fa la comunità, la chiesa, e la comunità fa l’eucaristia» (Henri De Lubac). 

 

Conclusione

 

Questo incontro narrato in Gv 21 ci rivela che unico è il Signore, unica l’eucaristia, unica la fede-conoscenza del Signore Gesù! A queste condizioni la missione della chiesa è fruttuosa: una missione guidata da Pietro in obbedienza al comando di Gesù, riconosciuto vivente grazie alla contemplazione che è ascolto e capacità di custodire nel cuore il suo amore. Una missione che ancora oggi ci riguarda e ci interpella. 

 

Enzo Bianchi