di Vittorio Lingiardi*
Ieri pomeriggio, mentre facevo lezione e il tema era la relazione terapeutica, un WhatsApp mi raggiunge per dirmi della morte, a 94 anni, nella sua casa di Borgomanero, di Eugenio Borgna. La tristezza e i ricordi, da quando ero un giovane psichiatra suo allievo a quando ho avuto l'onore di presentare i suoi libri. La tristezza è stata stemperata da quello che stavo facendo: insegnare cose che ho imparato da lui. In quel momento ho sentito fortemente un suo lascito: contenere le lacrime dell'addio e al tempo stesso il vagito dell'avvento. Quello di Borgna, primario emerito di psichiatria dell'Ospedale Maggiore di Novara, maestro della clinica fenomenologica e libero docente alla "Clinica delle malattie nervose e mentali" dell'Università degli Studi di Milano, è stato un itinerarium cordis lungo i sentieri che portano all'interiorità psichica e alle infinite regioni del cuore.
Una produzione incessante di testi, una clinica psichiatrica che contempla la presenza abissale della poesia e l'interrogarsi inesausto della filosofia. Una psichiatria che non si esaurisce nei deserti della tecnica, ma è sempre consapevole della stremata umanità che lampeggia nella follia. Un itinerario unico, dalla "montagna incantata" del manicomio femminile di Novara, diretto fino al 1978, alla rivoluzione basagliana, che quel manicomio ha aperto. Il suo rapporto con Basaglia? La ragione lo portava a considerare doverosa la chiusura dei manicomi, regrediti a livelli di intollerabile disumanità; il cuore lo portava a proteggere e custodire le ragioni della follia, quel mondo di silenzi, illuminazioni e lacrime che, nella giusta apertura dei manicomi, inevitabilmente scompariva.
Borgna era uno scrittore. La sua voce particolare, lucida ma mai spaventata dall'intensità di un aggettivo, è stata al servizio di decine di libri e di articoli sul Corriere della Sera. Elencare tutti i suoi titoli, di volta in volta pubblicati con Feltrinelli, Einaudi e Raffaello Cortina, è impossibile: da Come se finisse il mondo. Il senso dell'esperienza schizofrenica a La fragilità che è in noi, da Le figure dell'ansia a Responsabilità e speranza, da L'ascolto gentile a Sull'amicizia (premio Gherardo Amadei 2023). Prima di leggerlo, ho avuto la fortuna di ascoltarlo a lezione: la fisicità vocale del suo discorso, l'insegnamento fenomenologico e poetico, gli autori compagni di una vita (Hölderlin, Rilke, Zambrano, Hillesum, Kafka), la cristianità esemplare. «La speranza umana - diceva - si intreccia alla speranza cristiana che la rende ancora più capace di resistere alle disfatte della vita: la fatica di vivere, le notti oscure dell'anima, il silenzio pietrificato del cuore».
Borgna ci ha aiutato a esplorare i territori indefiniti e spesso sovrapposti, dove finisce l'esperienza esistenziale e inizia il sintomo clinico. Il suo ultimo libro s'intitola L'ora che non ha piú sorelle ed è dedicato al suicidio femminile. Eugenio ha sempre avuto un silenzioso rispetto per l'ombra di morte nelle nostre vite, più che un rispetto, quasi una conoscenza e una capacità di ascolto, di immersione nel segreto, nell'enigma, direbbe Emily Dickinson, la poetessa che più amava con Antonia Pozzi. Sapeva ascoltare quelle emozioni «nobili e altere, liquide e sensibili all'accoglienza o al rifiuto». Era interessato alle emozioni fragili perché, nei loro bagliori, sono le più ferite e le più risonanti.
In un dialogo terso e fendente tra vita e letteratura, Borgna ha raccontato ogni luogo dell'interiorità e della relazione: l'amicizia, per esempio, che definiva «nostalgia di una comunione ideale fra un destino e un altro destino». E la solitudine, sua grande compagna, anche se grande era sempre la gioia che manifestava in ogni incontro, in ogni biglietto, in ogni email. Era al contempo schivo e appassionato, solitario e nato per il dialogo. A lui si adattano alla perfezione le parole di una "sua" autrice, Simone Weil, per la quale amicizia è «quel miracolo per cui un essere umano accetta di guardare alla dovuta distanza l'essere a lui necessario quanto il nutrimento».
Quella di Borgna è una psichiatria nobile che sa appoggiarsi a una rigorosa farmacoterapia senza ignorare l'importanza della psicoterapia. Una psichiatria che si oppone alla contenzione, fatta di un ascolto che cura senza orologio, vicina al "tempo" di cui hanno più bisogno i pazienti ricoverati. Una psichiatria che accetta il dolore come condizione umana non solo ineludibile, ma fondativa.
Nella mia vita professionale mi sono spesso affidato a posizioni più empiriche, ho studiato le ricerche anglosassoni oltre ai tomi mitteleuropei, ho persino insegnato a "usare" il DSM, un manuale diagnostico che per Borgna rappresentava la summa di una psichiatria troppo oggettivante. Ma non ho mai abbandonato la strada maestra che lui mi ha indicato più di trent'anni fa nelle aule del Policlinico di Milano: l'attenzione alle parole della fragilità, il rito dell'incontro e dell'ascolto, il rispetto del dubbio e la considerazione del mistero. Il cammino più lungo che rifiuta la fretta spacciata per efficienza ed è scortato dalle parole di Hölderlin che tu Eugenio così tanto amavi: «siamo un colloquio e possiamo ascoltarci l'un l'altro».
* in “La Stampa” del 5 dicembre 2024