La memoria del male e della sua epifania è essenziale ad assumere una crudele verità: il male è possibile all’uomo, il male è banale, e quindi si arriva a considerarlo come una realtà da vincere
La Repubblica - 24 gennaio 2022
di Enzo Bianchi
Chi conosce la vecchiaia perché la vive o perché la osserva nelle persone che gli sono familiari o vicine, sa che la perdita della memoria è veramente un dolore sofferto in silenzio e nell’impotenza disperante.
Perdere la memoria non è semplicemente una spoliazione, una diminuzione, ma è soffrire il furto della vita stessa. Perché la memoria è l’esile filo interiore che ci tiene legati al nostro passato, ciò che abbiamo vissuto e che solo se lo ricordiamo ci permette di cogliere cosa sia la nostra vita. Non è facile vivere in modo fecondo questo rapporto intimo con il proprio passato personale, familiare o sociale, perché corriamo sempre due pericoli di segno opposto: quello di restare prigionieri del passato, oppure quello di spezzare ogni legame con esso fino a non riconoscerlo. Nel nostro presente s’intrecciano memoria e oblio, passato e futuro, ma senza finire in un culto della memoria dobbiamo lavorare la memoria, ridestare il coraggio della memoria per aprire un futuro al passato, come avverte acutamente Barbara Spinelli in Il sonno della memoria. La memoria diventa allora “motrice di storia”, nel senso che reinterpreta, rilegge, ma non riscrive la storia e consente di mutare non il passato ma il futuro.
Soprattutto la memoria del male e della sua epifania è essenziale ad assumere una crudele verità: che il male è possibile all’uomo, ad ogni uomo, anche a me stesso, che il male è banale, e quindi si arriva a considerarlo come una realtà da vincere, da respingere, da condannare sempre.
Il giorno della memoria che vivremo giovedì deve essere un giorno di intelligente riflessione da parte di tutti, in primo luogo per ricordare le vittime: dimenticarle significherebbe ucciderle una seconda volta! Sì, una porzione di umanità è stata perseguitata ed eliminata con un disegno progettato da un’altra parte di umanità accecata e barbara che non riconosceva più né la comune dignità umana, né la fraternità. E’ importante far risuonare con sdegno e giusta collera un “mai più!”, ma è anche necessario interrogarci perché la Shoah è potuta accadere e imparare a discernere i germi di una tale barbarie anche oggi, nel nostro presente.
Purtroppo, quando si evoca la Shoah, la si imputa esclusivamente all’ideologia nazista, individuando i colpevoli nei soggetti al servizio di quel potere totalitario e criminale. In realtà, e questo facciamo ancora fatica ad assumerlo, della Shoah furono responsabili anche moliti uomini comuni, senza condivisione ideologiche naziste, persone con una coscienza silente e abituate a pensare solo a sé stesse. Nel silenzio o nella muta approvazione, per il bene della nazione, del popolo e della razza, scelsero l’indifferenza diventando così complici del male assoluto. Per questo, quello che è successo allora è possibile anche oggi, magari per il bene della propria identità culturale, della comunità, del proprio gruppo religioso: deboli che diventano prepotenti, impotenti che diventano aguzzini, apatici che diventano crudeli.
Gli ultimi sopravvissuti all’inferno se ne stanno andando e cesseranno le narrazioni di ciò che all’inizio fu inenarrabile anche per loro a causa dell’abissale degradazione subita. E allora più che mai occorrerà vigilanza per combattere l’affievolirsi della memoria, l’oblio che è terreno fertile per negazionismi, letture oblique e giustificazioni impossibili.
“L’uomo è definito dalla sua memoria”, scriveva Elie Wiesel intendendo dire che l’umanità è singolare anche per la sua capacità di memoria. Senza questa, neanche la parola sarebbe possibile a noi umani e la verità diventerebbe menzogna.