di Goffredo Boselli
Resurrexi, et adhuc tecum sum, alleluja.
Dopo i tanti riti, le innumerevoli parole, le confessione di fede, gli alleluja, le acclamazioni esultanti e i canti di gioia della Veglia pasquale, all’alba del giorno senza tramonto, la Chiesa rinuncia alla sua parola e tacendo dà, per così dire, la parola a Cristo che rivolto al Padre dice: “Sono risorto e sono ancora con te”. La traduzione del messale italiano fa la scelta di esplicitare il destinatario delle parole di Cristo: “Sono risorto, o Padre, e sono sempre con te”. La voce che risuona al sorgere del sole di Pasqua non è quella della Chiesa ma è la voce stessa del Risorto.
Gli studiosi di gregoriano osservano che l’antifona Resurrexi è un canto trattenuto che invece di assecondare un grido di gioia ci invita ad un canto discreto. “Ci saremmo aspettati di cantare, dopo tanta attesa, Alleluja con gioia traboccante, e invece il canto sembra volerci portare al silenzio. Ci saremmo aspettati di intonare un canto capace di elevarsi in alto a dipingere anche visivamente la risurrezione, e invece troviamo la totale assenza di movimento e di slancio, costretti in un ambito melodico di poche note” (G. M. Durighello). Non è lo jubilus del graduale Haec dies della stessa Messa e neppure è un canto di trionfo in modo dorico com’è la sequenza Victimae paschali laudes, che narra l’esito vittorioso di un prodigioso duello tra la morte e la vita e si conclude con la fierezza, quasi l’orgoglio della fede nel suo versante di certezza: Scimus Christum surrexisse a mortuis vere. No, niente di tutto questo nell’antifona d’introito che è invece in quarto tono che nell’octoechos gregoriano è generalmente il tono del lutto e dell’infelicità. Qui esprime invece quell’intimità e quella confidenza che si addicono a un dialogo tra il figlio che “era morto ed è tornato in vita” e ritrova il padre: Gesù il prodigo del Padre, direbbe Enri Denis.
L’introito più importante del repertorio gregoriano, com’è ritenuta questa antifona, è l’unico caso in cui la liturgia decide di non parlare del Risorto in terza persona per lasciare che il Risorto parli lui in prima persona. Non Resurrexit, “è risorto”, ma Resurrexi, “sono risorto”. Se nella Veglia pasquale la Chiesa ha ripetuto in tante forme e modi diversi cos’è per lei la risurrezione, nell’incipit del giorno di Pasqua fa dire al Risorto ciò che per lui è la sua risurrezione. Nella liturgia della Chiesa, e solo in essa, il Risorto è testimone della sua stessa risurrezione.
La melodia gregoriana così discreta e trattenuta sembra volere rendere musicalmente la voce del Risorto stesso che è la voce di un uomo che ha sofferto, la voce di una vittima innocente carica della memoria dei giorni della passione. Gesù potrebbe narrare la sua risurrezione in molti e diversi modi, qui ne sceglie uno solo. Cristo annuncia la sua risurrezione non come vittoria sulla morte, non come trionfo sugli inferi, non come sconfitta dei nemici o come conquista della vita eterna, ma in un dialogo da figlio a padre confessa che per lui risorgere significa essere di nuovo con lui. Tornare alla vita per il Figlio ha significato tornare ad essere con il Padre, presso di lui, per vivere ancora e per sempre la stessa vita del Padre, ricongiungendosi così alla sua stessa origine: “In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio” (Gv1,1). Ecco il testo dell’introito nella sua interezza e la traduzione del messale italiano:
Resurrexi, et adhuc tecum sum, alleluja.
Posuisti super me manum tuam, alleluja.
Mirabilis facta est scentia tua, alleluja, alleluja.
Domine probasti me, et cognovisti me:
tu cognovisti sessionem meam, et resurrectionem meam.
Sono risorto, o Padre, e sono sempre con te. Alleluia.
Hai posto su di me la tua mano. Alleluia.
È stupenda per me la tua saggezza. Alleluia. Alleluia
Il testo dell’antifona di introito è tratto del salmo 139 in un’antica versione latina. Il testo latino e quello della versione greca del Settanta del salterio corrispondono perfettamente nel versetto 18: “Sono risorto e sono ancora con te”. Per la tradizione cristiana d’oriente e d’occidente è uno dei passaggi della Scrittura più immediatamente cristologici nei quali la Chiesa ha riconosciuto una chiara profezia della risurrezione di Gesù. L’averlo scelto come testo per l’antifona d’introito del giorno di Pasqua ne rivela l’importanza che la Chiesa gli attribuisce. Tutto il salmo 139 è un dialogo di amore tra il credente e Dio: “Signore, tu mi scruti e mi conosci” (v. 1). È una confessione della conoscenza di Dio nel senso dall’essere da lui conosciuti fin dal grembo materno, della sua presenza costante e della sua ubiquità per la quale non ci abbandona nemmeno agli inferi, nell’esperienza delle tenebre e neppure nel sonno: “Mi risveglio e sono ancora con te” (v. 18b). Se, come sovente nel pensiero biblico, il sonno è metafora della morte, l’orante confessa il suo essere presso Dio al risveglio della risurrezione. L’interpretazione che di questo versetto ne da la versione greca del salterio e di riflesso quella latina, come abbiamo visto, sarebbe radicata nel testo ebraico.
In una Veglia pasquale, Benedetto XVI ha centrato la sua omelia sul testo dell’antifona Resurrexit, offrendone una mistagogia di grande valore. Benedetto XVI interpreta il viaggio spirituale dell’orante del salmo 139 come l’esperienza pasquale di Cristo e considera il dialogo dell’antifona anche come parole che il Risorto rivolge alla Chiesa:
La visione del Salmo è diventata realtà. Nell’oscurità impenetrabile della morte Egli è entrato come luce – la notte divenne luminosa come il giorno, e le tenebre divennero luce. Perciò la Chiesa giustamente può considerare la parola di ringraziamento e di fiducia come parola del Risorto rivolta al Padre: “Sì, ho fatto il viaggio fin nelle profondità estreme della terra, nell’abisso della morte e ho portato la luce; e ora sono risorto e sono per sempre afferrato dalle tue mani”. Ma questa parola del Risorto al Padre è diventata anche una parola che il Signore rivolge a noi: “Sono risorto e ora sono sempre con te”, dice a ciascuno di noi. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce.