La Repubblica - 25 aprile 2022
di Enzo Bianchi
Questa orribile guerra tra Russia e Ucraina non dà segni di possibile tregua e non sembra guadagnare posizioni che aprano a trattative di pace. Piuttosto è una guerra che si estende non tanto sul territorio quanto con il coinvolgimento di un numero crescente di paesi che inviando armi alla resistenza ucraina diventano di fatto, al di là di ogni tentativo di giustificazione ipocrita, dei belligeranti: non la combattono direttamente ma contribuiscono comunque, in nome di una presunta difesa, a una carneficina di povera gente che non voleva questo conflitto. Essendo poi coloro che si uccidono cristiani, molte sono le domande che essi si pongono sulla liceità di questa guerra, nella quale ogni chiesa benedice il proprio esercito, e chiede la vittoria grazie al fatto che Dio è schierato dalla sua parte.
Qui da noi i cristiani, quasi tutti cattolici, da un lato citano il Catechismo della Chiesa Cattolica di Giovanni Paolo II, che prevede la possibilità della difesa armata della patria quando vi sia un’aggressione, e a partire da questa posizione teologico-morale si giustifica l’invio di armamenti al paese aggredito. Ma si dimenticano altre condizioni necessarie “contemporaneamente”, che cioè ogni altro mezzo sia impraticabile, che ci siano fondate condizioni di riuscita, che il ricorso alle armi non provochi mali più gravi.
Dall’altro lato i credenti impegnati nei diversi movimenti per la pace chiedono che si percorrano altre strade (non quella dell’aiuto tramite le armi) per sostenere e difendere chi ha subito l’invasione. Questi ultimi si ispirano all’insegnamento non violento di Gesù, che andando oltre il comandamento assoluto “non uccidere”, vieta al discepolo atteggiamenti di violenza e di guerra anche in reazione a chi compie il male. Le parole di Gesù sull’amore e la benedizione del nemico sono inequivocabili e il porgere l’altra guancia a chi percuote è un imperativo. Gesù al momento del suo arresto non volle nessuna difesa e intimò ai discepoli di non usare la spada perché solo con la non violenza si può interrompere la violenza. Atteggiamento questo non facile, a caro prezzo, che i cristiani raramente hanno praticato nel corso della storia.
Se nei primi secoli i cristiani hanno rifiutato la partecipazione alla guerra e all’essere arruolati negli eserciti dell’impero, pagando questo rifiuto fino al martirio, con la svolta costantiniana hanno accettato la necessità di militare nell’esercito dell’impero romano diventato cristiano. Da allora, attraverso lo sviluppo della dottrina (in Occidente è stato determinante S. Agostino) si è elaborata la dottrina della “guerra giusta”. Nonostante gli interventi profetici dei papi recenti, purtroppo nel Catechismo permane questa posizione, sicché ci sono cattolici che chiedono di intervenire in questa guerra con l’offerta di armi all’Ucraina, perché questa sarebbe una guerra di difesa, una resistenza all’occupante aggressore. Altri cattolici, sovente legati ai movimento per la pace, chiedono di percorrere altre vie non armate e condannano ogni ricorso alle armi. Ecco come si è acceso lo scontro e come si sono polarizzate le posizioni che si sconfessano e si delegittimano a vicenda. I cristiani che si vogliono fedeli al “Vangelo e basta”, memori del comando assoluto “non uccidere”, seguono l’insegnamento non violento di Gesù a caro prezzo e non per evasione. Gli altri che si ispirano al Catechismo dovrebbero non dimenticare che, comunque, ogni partecipazione a una guerra giusta non può essere fatta nell’arroganza, nella fierezza di compiere il bene, bensì sapendo che si contribuisce a seminare morte, compiere il male, violare il comandamento e operare nel peccato. Per questo, la Chiesa antica prevedeva, per chi aveva partecipato alla guerra, un tempo di pentimento, di esclusione dalla comunione, perché il Vangelo era stato contraddetto.
Anche Dietrich Bonhoeffer, che scelse di partecipare all’attentato contro Hitler per fermare il tiranno, lo face senza arroganza, sapendo di compiere il male per impedire un male maggiore. Per Bonhoeffer, la sua coscienza era l’ultimo giudizio che lo muoveva a quell’azione. Lui era solo, non diceva che Dio era con lui come lo dicevano i suoi nemici, ma si assumeva la responsabilità di operare anche ciò che era contro il Vangelo per impedire un male ancora più grande.
Il cristiano, in queste scelte, è solo: Dio non lo soccorre e tanto meno lo esenta dall’essere uomo responsabile tra gli uomini.