Quando fede e nazionalismo si intrecciano, come nella guerra tra Russia e Ucraina, allora si innesca una miscela esplosiva. Non solo l'ecumenismo è impedito, ma il Vangelo è smentito
La Repubblica - 16 maggio 2022
di Enzo Bianchi
Nel notissimo scritto anonimo del ii secolo d. C. che porta il titolo di A Diogneto si cerca di delineare quale può essere la vita dei cristiani nel mondo mediterraneo e la loro identità rispetto agli ebrei e ai pagani.
Non vengono evidenziate differenze profonde, anzi si afferma che i cristiani “non si distinguono dagli altri né per lingua, né per il modo di vestire … non abitano città loro proprie, non usano lingue particolari”. Ma nello stesso tempo con parresía si attesta che “abitano in una terra, ma come stranieri domiciliati. Ogni terra straniera è loro patria e ogni patria è per loro terra straniera”.
Questo lo statuto di cristiani ancora fedeli all’insegnamento e alla prassi del loro rabbi e profeta Gesù di Nazareth. Se per il popolo di Israele la terra era una promessa fatta da Dio nell’atto stesso della creazione del popolo, se la terra è stata il dono di Dio conquistato da coloro che uscirono dalla schiavitù dell’Egitto, se la terra resta immanente all’alleanza tra il Dio di Abramo e Israele, per i cristiani questa promessa e questo legame non è in alcun modo in vigore, per cui i cristiani non possono dire di avere una patria, né pretenderla, né nutrire sentimenti che circoscrivano il loro impegno, il loro amore, la loro speranza, a una terra particolare.
Ma sappiamo che con l’avvento di Costantino viene inaugurato l’Impero romano cristiano: i cristiani che facevano obiezione di coscienza e non partecipavano alle guerre fino a conoscere il martirio diventarono militi di un impero cristiano, parteciparono alle guerre a servizio di quel potere che i cristiani precedenti avevano chiamato con il nome di Babilonia.
Da all’ora la chiesa non tiene la “postura di presenza” in terre governate dall’autorità politica ma, con esiti diversi e in modalità critiche a seconda delle situazioni, si è posta spesso accanto allo stato in una pretesa sinfonia, oppure in un regime di concordato che di fatto asserviva la chiesa al potere politico (cesaropapismo), come è avvenuto soprattutto in oriente fino alla formazione delle chiese nazionali. In realtà queste chiese non sono mai riuscite a vivere l’autonomia rispetto allo stato: o sono state perseguitate, come nella Russia sovietica, o si trovano in una situazione di soggezione come attualmente la chiesa russa.
In occidente sappiamo bene che non si è corso questo pericolo perché, tramite il potere temporale dei papi, la chiesa romana ha preteso di dare a Dio ciò che apparteneva a Cesare. Anche in tempi recenti ha mostrato la volontà di intervenire nella vita degli stati configurandosi come religione civile, al fine di ottenere privilegi.
Nel conflitto Ucraina-Russia le posture cesaropapiste delle chiese sono operanti più che mai: in Ucraina la chiesa ortodossa che si è staccata da Mosca ha ottenuto il sostegno del governo, e l’autocefalia non è stata solo un itinerario di fede e di vita ecclesiale. Anche in questi giorni sta avvenendo la stesso processo per la chiesa ortodossa della Macedonia del nord, la “chiesa di Ocrida”, che si è staccata dal Patriarcato serbo per approdare alla comunione con Costantinopoli seguendo in tutto l’esito politico di questa piccola repubblica.
Quando fede e nazionalismo si intrecciano perché i cristiani affermano di possedere una terra-patria, allora si innesca una miscela esplosiva e in questo caso i cristiani non aiutano a perseguire le vie della pace. Non solo l’ecumenismo è impedito ma il Vangelo è clamorosamente smentito! Allora diventa difficile dire che le religioni sono portatrici di pace.