La Repubblica - 15 Agosto 2022
di Enzo Bianchi
Oggi è ferragosto, feria-festa di agosto, simbolo della vacanza e del riposo fin dai tempi di Augusto imperatore. Questa festa fu poi cristianizzata e diventò la festa del transito dalla terra al cielo della madre di Gesù, Maria di Nazareth, diventata “Terra del cielo”. Una memoria importante per i cristiani, perché, dopo la Pasqua, è quella che esprime in modo definitivo la loro fede nella vita nell’aldilà, oltre la morte.
Proprio su questo momento della morte prima o poi si accendono le nostre domande: sappiamo, infatti, nonostante tutti i tentativi di rimozione, che la nostra vita ha un termine, che davanti a noi è posto un limite, che la morte come fine di questa vita è ineludibile. Alcuni di noi con serenità, altri con ansia o angoscia pensano a quel momento con una certa paura del dolore o dell’incoscienza che potranno essere presenti in quell’ora.
Ed ecco la domanda vera: “Ognuno di noi è solo una parentesi tra due nulla, il nulla prima della nostra nascita e il nulla dopo la nostra morte?”. In realtà è una domanda, formulata con queste parole da Jean Paul Sartre, che ha accompagnato l’uomo fin dagli inizi dell’umanità e non lo lascerà, perché non verrà mai data una risposta dalla scienza o dalla ragione.
Per questo la religione e la spiritualità hanno tentato di balbettare risposte cercando di suscitare speranze, indagando in tutti i modi se fosse possibile affermare che ognuno di noi è venuto al mondo non per caso o per necessità ma in uno spazio di libertà e di amore. Il cristianesimo attingendo dalla linfa ebraica ha elaborato diverse immagini: un Regno in cui Dio ha vinto la morte, un giardino-eden, un cielo, una vita eterna per coloro che hanno vissuto nell’amore, e di conseguenza un luogo di assenza di luce, assenza di relazione e di vita per coloro che hanno operato il male misconoscendo i fratelli e le sorelle in umanità.
Ma al di là di questa tematica della promessa di un premio o di una punizione, il grande annuncio cristiano è la resurrezione, la vita eterna, la partecipazione alla vita stessa di Dio. “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio”, recita l’adagio della fede cristiana.
Ma oggi i cristiani su questa speranza sono esitanti, spesso muti, “non sanno cosa dire” e sembrano soffrire di disturbi di comunicazione che non dipendono tanto dal linguaggio ma essenzialmente dalla mancanza di fede e di speranza.
Sì, proprio la mancanza di fede impedisce di parlare dell’aldilà, e così la gente si chiede smarrita: “Che ci sarà nell’aldilà?”. Sembra che per le Chiese le parole di Gesù stesso, non più ripetute, destino imbarazzo nel pronunciarle. Ma se esse non annunciano la speranza oltre la morte che cosa annunciano? L’etica? Anche gli umani sanno ricercarla e indicarla! La giustizia sociale? Ma per questo non c’è bisogno da parte della religione, che tra l’altro fino a ieri ha spesso ostacolato le lotte per la giustizia e la libertà.
Ciò che attendiamo di ascoltare ancora è la promessa che la morte non ha l’ultima parola, che l’amore che viviamo vince la morte, che le nostre storie e i nostri amori non possono finire nel nulla. Questa speranza cristiana non è né certezza, né conoscenza o sapere, ma può essere convinzione per noi fragili e mortali, che da stranieri sulla terra, mentre scende la sera, dobbiamo camminare insieme con il fuoco della speranza che arde nel cuore e che promette che il cammino non finirà nel nulla.