L’avventura della comunità fondata in Siria centrale
da padre Paolo Dall’Oglio, rapito a Raqqa nel 2013
La Stampa - Tuttolibri - 28 agosto 2022
di Enzo Bianchi
“Purtroppo c’è chi viene fatto santo subito, e chi ignorato nonostante abbia speso la vita per i fratelli e le sorelle in umanità e abbia sognato per loro la giustizia e la pace. La santità dei devoti è sempre più apprezzata della testimonianza profetica che interroga e crea inedite realtà”. Così ho concluso un mio recente articolo pubblicato in occasione del nono anniversario del rapimento di Paolo Dall’Oglio sj, avvenuto a Raqqa il 29 luglio 2013. Non avevo ancora letto l’appassionante libro di Francesca Peliti Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Mar Musa. Un deserto, una storia, pubblicato da Effatà Editrice, che traccia la storia e la missione della Comunità di Mar Musa dai suoi inizi ai nostri giorni attraverso le testimonianze dei protagonisti che hanno seguito Dall’Oglio nella sua avventura profetica, alcuni come membri del monastero, altri come amici e ospiti. Molto si è scritto e si continua a scrivere sulla figura e la vicenda di Paolo Dall’Oglio, molto meno invece si conosce della comunità monastica al-Khalil (l’Amico di Dio, titolo arabo di Abramo) da lui fondata in Siria nel 1992 nei pressi di Nebek, a un centinaio di chilometri a nord di Damasco. Agli inizi degli anni Ottanta il giovane gesuita Dall’Oglio scopre le rovine dell’antico monastero di Mar Musa al-Habasci (San Mosè l’Abissino) risalente al VI secolo, che si trova sperduto fra le montagne nel Qalamun siriano, a metà strada tra Damasco e Homs. Con l’aiuto di amici italiani, di volontari siriani e di persone di passaggio provenienti da tutto il mondo, padre Paolo restaura il monastero restituendolo alla sua originaria vita. La faticosa ricostruzione materiale del monastero è per Dall’Oglio metafora della natura e della missione di quell’antico luogo, come egli stesso scrive in una lettera del 1985: “Se una chiesa di pietre non è l’espressione di una comunità vivente, andrà certo in rovina; il nostro monastero in rovina ci chiama a ricostruire una chiesa viva”.
La comunità nasce dalla visione e dalla volontà di Paolo Dall’Oglio che, insieme al ventenne siriano Jacques Mourad, negli anni accoglierà nel deserto uomini e donne, cattolici e ortodossi che condividono una vita comune semplice e difficile, ricca ma rude fatta di preghiera, di lavoro e di ospitalità aperta a tutti, con la specifica vocazione all’accoglienza e al dialogo con i mussulmani. Il monastero cristiano, siriano, orientale diventa luogo di incontro, conoscenza, condivisione e si fa ponte simbolico tra l’Oriente e l’Occidente cristiano, aperto all’Islam. Scrive Francesca Peliti nell’introduzione: “A quarant’anni dalla sua nascita, Mar Musa è un progetto di straordinaria attualità, come testimonia il ruolo che la Comunità e i suoi monaci hanno svolto durante la guerra in Siria e in Iraq. La visione di p. Paolo si rivela oggi con precisa necessità, nell’urgenza di aprire, consolidare e rafforzare il dialogo con l’Islam, Gli eventi storici hanno mostrato senza ombra di dubbio he questa è la strada”.
Il volume raccoglie le vivaci e toccanti voci di più di venti protagonisti che attraverso la descrizione della quotidianità vissuta insieme e del suo audace progetto raccontano la nascita e la crescita di Mar Mussa, l’entusiasmo degli inizi e le difficili prove che ha conosciuto con lo scoppio della guerra. Nelle loro voci risuonano la speranza e il coraggio, l’umiltà e la forza della vocazione di Mar Musa. Le testimonianze sono intercalate dalle lettere con le quali dal 1985 al 1995 padre Paolo racconta ad amici e famigliari lo sviluppo materiale e spirituale del monastero, e con esso il progetto di vita che appare incredibilmente lucido e definito fin dall’inizio.
Nel capitolo dell’aprile del 2021 la comunità monastica composta ora da una decina tra monaci e monache si è interrogata sul significato dell’assenza di padre Paolo e quale prospettiva ha ora Mar Mussa, “affrontando per la prima il fatto che Paolo potrebbe non tornare più”. La monaca siriana Houda Fadoul, la superiora del monastero che ha guidato la comunità in questi difficili anni di guerra, scrive: “Una cosa preziosa che abbiamo capito è il sacrificio grande di Paolo che era pronto a offrire la sua vita per la Siria e per i siriani. Questa è una cosa che ci tocca molto, solo mi dispiace perché sento che noi stiamo raccogliendo i frutti di ciò che lui ha seminato”.