La Repubblica - 26 Settembre 2022
di Enzo Bianchi
Mentre scrivo queste righe molti italiani si recano a votare, ma quando si leggeranno questi pensieri si conosceranno già i risultati elettorali mai tanto temuti in questi ultimi decenni della storia italiana. Non sappiamo dunque che cosa le urne indicheranno: se non succederà nulla che crei una reale discontinuità con il passato oppure ci sarà uno storico mutamento con l’assunzione del governo da parte delle forze identificate come destra. In ogni caso, siamo un paese che vuole vivere delle regole della democrazia e occorrerà accogliere i risultati delle urne.
Per me e per tanti altri che come me si confrontano sui mali e sulle speranza del nostro paese, il timore è soprattutto che non ci sia nessun reale cambiamento e si continuerà a “fare politica” senza nutrirsi di visioni, di speranze, di cantieri aperti per giungere a orizzonti condivisi. Continuerebbe la delusione e la frustrazione in quei cittadini che si sentono lontani ed estranei dalla politica, sovente anche pronti a maledirla. Sarebbe invece urgente che per le nuove generazioni si aprisse la possibilità di valorizzare le proprie potenzialità, l’occasione di poter progettare ed essere protagonisti, cercando di realizzare i propri desideri nella costruzione della polis.
La generazione degli attuali ventenni, spesso indicata come generazione Z, è quella nata nel XXI secolo, è quella che ha conosciuto durante il percorso così delicato e fragile dell’adolescenza l’esperienza della pandemia ed è quella che per prima, dopo settant’anni, deve guardare con intelligenza e responsabilità ad una guerra che non sta ai confini dell’Europa ma che si è rivelata una guerra tra la Russia e l’Occidente degli USA, della Nato, l’Occidente di cui facciamo parte! Una guerra che in realtà è anche uno scontro di civiltà. Quella che Samuel P. Huntington profetizzò come probabile e vicina tra Islam e cristianità si è rivelata concreta realtà in uno confronto tra Est e Ovest, tra cristiani addirittura e per ragioni prima politiche e poi miscelate con la religione e con l’etica di vita dei due mondi.
Lo attestano le inchieste sociologiche, ma per me è esperienza diretta di ascolto e di scambio con i giovani, questa nuova generazione che conosce disagio e fatiche per gli eventi che abbiamo evocato ma anche per tutte le contraddizioni presenti nella nostra società complessa, competitiva e individualista che noi abbiamo creato.
C’è in loro molto senso di inadeguatezza, sentimento di non farcela, difficoltà a vedere prospettive per il futuro perché la generazione precedente non ha saputo trasmettere fiducia e tantomeno aiutarli ad assumere una postura di saldezza. Siamo noi adulti, che li abbiamo preceduti, a renderli passivi, a non dare loro in eredità strumenti contro il panico, i disturbi del comportamento, la fuga dalla fatica e dal dolore. Siamo noi che non siamo stati presenti nella loro crescita, eccoli o in fuga da noi non più capaci di essere presenti.
Se c’è una responsabilità urgente che dovranno assumersi i nuovi governanti è accorgersi di questa nuova generazione e operare efficacemente per essa, a cominciare dai percorsi educativi sempre meno capaci di indicare il senso e il valore da dare al lavoro, lontani dalle vita civile che sa indicare orizzonti condivisi per la polis, aiutando i giovani a sentirsi pensati, riconosciuti e convocati dalla politica. Poiché solo così si costruisce una convivenza buona, una società nella quale ci sia posto per chi vuole essere mosso dalle speranze condivise con gli altri cittadini. Lo affermo da vecchio: è urgente che la politica, prima di tutto il resto, pensi alle nuove generazioni.