di Jean-Claude Thomas*
Per Gesù e per i profeti come Isaia, il vero sacro è nel cuore della nostra storia umana. Non è in ciò che è separato, codificato, nelle mani solo di alcuni. Non è manipolabile ma è dove si costruisce il “noi” di una umanità vera, in comunione con tutta la creazione.
Il dizionario Larousse definisce così il sacro: “Che appartiene all’ambito separato, intangibile e inviolabile del religioso e che deve ispirare timore e rispetto (per opposizione a profano)».
Ma Gesù, al seguito dei profeti, modifica profondamente questa nozione. E questa rimessa in discussione è una delle ragioni principali dello scontro che ha comportato la sua morte: il conflitto con i religiosi di Gerusalemme, sacerdoti, scribi e farisei.
Per coloro che Gesù ha affrontato, il sacro, “lo spazio di Dio” è, prioritariamente, lo spazio del culto e il Tempio. Ma anche tutte le regole che sono associate alla riverenza resa a Dio e che inscrivono la relazione degli uomini con Lui prioritariamente nei riti da osservare, nelle leggi che reggono il comportamento e in particolare, in quel mondo ebraico, le regole della purità.
Gesù, nei suoi gesti e nella sua parola, mostra che, per lui, il vero “spazio di Dio” non è quello. Contesta le regole e le esclusioni che sono la norma nella spazio del Tempio. Ne caccia i mercanti di bestiame, benché essenziali per i sacrifici, e dichiara: “Togliete questo da qui! È scritto: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni». Ma voi ne fate un covo di ladri!” (Mc11,17).
Al di là di quel gesto, estende la rimessa in discussione anche al codice di purità, al rispetto esigente dello shabbat, alle leggi che regolano l’alimentazione e le relazioni degli ebrei con i non ebrei.
Li scuote prima di tutto col suo modo di comportarsi: si invita a casa di Zaccheo, che è il primo a sorprendersi nel vederlo trasgredire la legge che vieta di frequentare i pubblicani, impuri e peccatori (Luca 19,7). Gesù parla alla Samaritana, che, anch’essa, si stupisce: “Come! Tu, un giudeo, mi chiedi da bere, a me, una Samaritana?” - Infatti, i Giudei non frequentano i Samaritani (Giovanni 4,9).
Critica apertamente lo stato d’animo che si accompagna al rispetto scrupoloso di queste leggi e apostrofa coloro che si dichiarano a favore di esse con queste parole: «Gli scribi e i farisei insegnano sulla cattedra di Mosè… Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito… Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare!» (Matteo 23, 2… 13).
Invece dice di Zaccheo: «Anch'egli è figlio di Abramo» (Luca 19,9). E dichiara alla Samaritana: “«Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Giovanni 4, 21-24).
Per questo Gesù vede levarsi contro di lui i sostenitori e i difensori del sacro tradizionale. Perché invita a percepire che “lo spazio di Dio” non è dove lo mettono loro, ma nel cuore delle relazioni tra gli uomini e, in modo particolare, nell’attuazione del secondo comandamento, “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, simile al primo.
L’esempio più chiaro è “la Parabola del Buon Samaritano”. Prima di tutto Gesù rovescia la domanda che gli viene posta: «Chi è il mio prossimo?». E la trasforma in: «Chi si fa prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei briganti?».
Nel corso della parabola, mette in scena uomini del sacro che privilegiano il rispetto dei codici a scapito dei gesti urgenti da compiere, facendo il contrario di ciò che questo secondo comandamento li invita a fare: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre» (Luca 10,30-32).
Perché agiscono così? Oggi diremmo: “Per mancanza di compassione”. Ma per gli ascoltatori di Gesù, si tratta di altro. Gesù parla di un sacerdote e di un levita. Per loro, toccare qualcuno insanguinato significava contrarre impurità e rendersi inadatti alle funzioni religiose. Chi è quello che trova i gesti giusti, adatti alla situazione, “i gesti che salvano” potremmo dire? Un Samaritano che passava di là! Ciò che è in accordo con Dio passa attraverso le mani di un eretico! Il sacro non è là dove lo mettono il sacerdote e il levita, ma nei gesti di compassione di quell’uomo che ha solo i suoi occhi per vedere e le sue mani per sostenere.
In questa storia, si è al cuore del secondo comandamento, che Gesù mette allo stesso livello del primo! Ma le sue parole hanno certo creato sorpresa nei suoi ascoltatori. E naturalmente non hanno mancato di scandalizzare i sacerdoti e i leviti, direttamente coinvolti.
Il rischio enorme che si assume Gesù quando si esprime così davanti alla folla è il rischio della propria vita. Sono convinto che la prima ragione del suo arresto e della sua condanna a morte è ciò che, nelle sue parole e nel suo modo di agire, viene sentito come una bestemmia. Come? Il vero Dio non sarebbe più colui che si sente onorato dalla molteplicità dei sacrifici offerti dalle mani dei sacerdoti e dei leviti? Come? Il vero Dio non sarebbe più colui che ha una preferenza per i “giusti” rispettosi delle prescrizioni religiose?
Ebbene, no! Tutti i gesti e le parole di Gesù lo mostrano. Questo capovolgimento è in linea con le parole pronunciate molti secoli prima da Isaia (58,2-12): «Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia … mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all'affamato, se sazierai l'afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio».
Queste parole valgono per noi ogni volta che cantiamo: «La tua tenebra sarà come il meriggio».
Per Gesù e per i profeti come Isaia, il vero sacro è nel cuore della nostra storia umana. Non è in ciò che è separato, codificato, nelle mani solo di alcuni. Non è manipolabile, ma è lì dove si costruisce il “noi” di una vera umanità, in comunione con tutta la creazione.
Il sacro, dice Joseph Moingt, “si situa prima di tutto nella relazione con gli altri: perché lo spazio sacro non è il tempio materiale. Lo spazio sacro, leggiamo in San Paolo, è il nostro corpo, il nostro corpo individuale ed è il corpo sociale che formiamo gli uni con gli altri”.
E allertando sul rischio, per i cristiani, di rifare del pane eucaristico il sacro per eccellenza, prosegue: “Lo spazio sacro, è quello che Paolo chiama il corpo di Cristo. E che cos’è il corpo di Cristo? Ebbene, è l’insieme di coloro che si uniscono gli uni agli altri, in vista di irradiare la fraternità attorno a loro, dei cristiani riuniti dall’amore, dal ricordo di Gesù.
Quando, in Corinti 11, San Paolo fa il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, invita a rispettare il corpo di Cristo. Il commento tradizionale è riconoscere che l’eucaristia è il corpo di Cristo, il corpo individuale di Cristo. E invece no, non è affatto il pensiero di Paolo. Che cosa ci dice? Quando vi riunite per commemorare il ricordo del Signore, aspettatevi gli uni gli altri. Non cominciate a mangiare appena arrivate senza occuparvi di coloro che non ci sono e che arriveranno per ultimi. Aspettatevi gli uni gli altri.
L’eucaristia ci insegna a rispettare il corpo che formiamo quando ci riuniamo attorno a Gesù. È quello il corpo di Cristo che ci lega nel ricordo di Gesù, il suo ricordo e la sua attesa, l’attesa del Cristo che deve venire. Cioè con tutti quegli uomini che ci circondano, che sono chiamati, anche loro, ad entrare nel corpo di Cristo, a formare con noi una sola umanità. È questo il vero modo di intendere il sacro cristiano.
Gesù ha quindi lui stesso secolarizzato il sacro. Il sacro non è il tempio di pietra, il sacro è il corpo che la moltitudine forma, la moltitudine di coloro che imparano a comportarsi gli uni verso gli altri da fratelli. Per farlo anche con coloro che non sono presenti… che però sono anche loro figli dello stesso Padre…” (J. Moingt, L’humanismo évangélique, Incontro della Comunità Cristiana nella Cité del 27 marzo 2011).
In altri termini, il sacro è presente nelle nostre vite. Non nella misura in cui noi rispettiamo degli spazi o dei riti e in cui compiamo ciò che la liturgia ci prescrive, ma nella misura in cui traduciamo noi nostri atti la vicinanza di Dio, diventando artigiani di pace, condividendo il nostro pane, facendoci prossimi ai malati e accogliendo lo straniero, disposti ad essere noi stessi trasformati da questo “essere prossimi” (Jorge Semprun, «L’Ecriture ou la vie»).
Su questo punto, non si può essere più chiari di quanto lo sia il Vangelo. Se no, tradiamo il Vangelo.
Gesù invita a vivere questo spostamento fino in fondo, per accordare le nostre percezioni, i nostri riflessi e i nostri comportamenti con questa “migrazione del sacro” che le sue parole e dai suoi atti testimoniano.
Ci rendiamo conto dell’attualità di questo tema quando notiamo i dibattiti e gli interrogativi presenti nella Chiesa oggi. In particolare nella rimessa in discussione di ciò che ha fatto del prete “l’uomo del sacro”, conferendogli un posto che costituisce un ostacolo ad ogni evoluzione della condivisione delle responsabilità tra preti e laici, tra uomini e donne. Conferendogli anche un’aura che è all’origine delle fosche influenze e degli abusi.
*Traduzione: www.finesettimana.org, in “https://saintmerry-hors-les-murs.com”