Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Gerusalemme l’ombelico del cosmo

24/12/2022 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2022,

Gerusalemme l’ombelico del cosmo

La Stampa

Fosco Maraini visitò la città l’indomani della Guerra dei Sei Giorni e la raccontò come luogo impastato di umano e divino, oro e piombo, pace e guerra: il crocevia del millenario incontro-scontro fra ebrei, cristiani e musulmani.

La Stampa - Tuttolibri - 24 Dicembre 2022

 

di Enzo Bianchi

“Ma di Sion sarà proclamato: ‘Ogni uomo è nato in essa’ … E insieme danzeranno cantando: ‘In te le nostre fonti!’”. Da secoli ebrei e cristiani pregano queste parole del salmo 85, le mormorano con amore, le ruminano con speranza, le proclamano con fede: ogni uomo è nato in Gerusalemme e tutti hanno in essa le loro sorgenti. Sono sufficienti questi due versetti per porre davanti ai nostri occhi il mistero di Gerusalemme, la sua vocazione, la sua qualità di luogo, come canta il profeta Isaia, in cui “il Signore ha posto una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata”, ma che diventa anche pietra d’inciampo: di fronte a Gerusalemme – “città di pace” o “visione di pace” – ebrei e cristiani si dividono.

 

Vale qui il principio secondo cui il nome racchiude il destino (nomen omen), o meglio, in questo caso, la vocazione; ma il destino, la vocazione di Gerusalemme è letta in modo differente, secondo una diversa prospettiva, da ebrei e cristiani. Anche la relazione con Gerusalemme rende manifesto lo scisma tra Israele e la chiesa, uno scisma che purtroppo non è stato contrassegnato solo dalla “gelosia” ma anche dall’ostilità e, da parte cristiana, dal disprezzo, fino alla persecuzione nei confronti “dell’olivo su cui è innestato l’oleastro”, secondo l’espressione paolina, cioè la chiesa proveniente dalle genti. Anche quando proclamiamo gli uni gli altri Gerusalemme come “l’unica e l’universale”, non lo diciamo allo stesso modo e siamo come impediti ad affermarlo con i medesimi sentimenti.

 

Non si può inoltre dimenticare che in questa visione di Gerusalemme entrarano, attraverso una loro via propria e specifica, anche i credenti dell’Islam, che la definiscono “la Santa” (al-Quds), “porta del cielo”, in ragione dell’ascensione notturna al cielo da parte di Muhammad, avvenuta appunto a Gerusalemme (secondo la Sura 17 del Corano). Gerusalemme è dunque luogo di incontro e di scontro tra ebrei, cristiani e musulmani, tra quanti cioè si dichiarano figli di Abramo: questi infatti sul monte tradizionalmente identificato con il Morjah, il monte di Gerusalemme, condusse il figlio Isacco disponendosi a offrirlo a Dio. Con piena obbedienza rispose a Dio: “Eccomi!”, diventando così ’Abinu, “nostro padre”, padre di tutti i credenti nel Dio unico, vivente e vero.

 

È esattamente questa sublime e al contempo straziante visione del mistero di Gerusalemme che emerge da un testo fino ad ora inedito in italiano di Fosco Maraini, Le pietre di Gerusalemme, D’oro, di rame, di luce e di sangue, con fotografie dell’autore e una introduzione di Franco Cardini, edito da Il Mulino. Se per Marcel Dubois “chiunque vive a Gerusalemme e vi passa una quindicina di giorni torna a casa e scrive un libro; se ci rimane uno o due mesi, scrive un articolo; se vi rimane di più, tace, consegnando al silenzio l’esperienza indicibile che egli ha vissuto”, al contrario Fosco Maraini dimostra che si può sostare alcuni mesi a Gerusalemme e scrive un libro che è un’originale esegesi di Gerusalemme, una rara contemplazione della Città la cui santità trasuda dalle sue pietre intrise di tutta quella umanità che nei suoi millenni di storia l’ha edificata e rasa al suolo, l’ha espugnata e consegnata al nemico, l’ha santificata e intrisa di sangue, in altre parole quello che è avvenuto a Gerusalemme ogni volta che gli ebrei, i pagani, i cristiani e musulmani se ne impossessavano.

 

Fosco Maraini, uno dei più grandi sinologi e iamatologi italiani, dopo aver scritto opere splendide come Segreto del Tibet e Ore Giapponesi, nel 1967, poco dopo la fine della Guerra dei sei giorni, si recò in viaggio a Gerusalemme, e al ritorno inizia la redazione della prima versione del manoscritto, rivisto e integrato due anni dopo a seguito del secondo, breve, viaggio nel luglio del 1968. Grazie al complesso e delicato lavoro della curatrice, Maria Gloria Rosselli, che ha recuperato il manoscritto definitivo di ardua lettura del 1970 - conservato al Gabinetto Vieusseux di Firenze servito per una pubblicazione negli Stati Uniti  con il titolo di Jerusalem, Rock of Ages – è ora edito per la prima volta in italiano. Quello che è stato definito “il libro più marainiano” è la storia di Gerusalemme raccontata attraverso le sue pietre che agli occhi di Maraini  hanno qualcosa di carnale nella loro segreta capacità di essere memoriali di una città che ha conosciuto la bellezza accecante e la violenza cieca, la vita autentica delle tre fedi monoteiste nata da Abramo che in questo lembo di terra si sono fatte troppo spesso nemiche feroci l’una dell’altra in guerre combattute in nome del Dio unico che qui e non altrove ha posto la sua dimora.

 

Ogni pietra santa di Gerusalemme è anche pietra profanata, ed è con una elegia della pietra che si apre il libro: “A Gerusalemme uomo e pietra s’incontrano, convergono l’uno nell’altra. La pietra di Gerusalemme è intrisa d’uomo”. Non sono soltanto pietre: “Ciascuna ha un passato che può essere anche drammatico, terribile. Sono pietre che, se potessero parlare, non avrebbero solo da raccontarci di cristallizzazioni ed erosioni, come quelle dei monti e dei fiumi, ma di lacrime e calore di corpi, talvolta di feste, più spesso di cose urlate in momenti terribili … Ma Gerusalemme non è fatta solo di uomini e di pietre; c’è tutta una dimensione che sconfina nell’invisibile e che rende questa città unica tra le altre: Uomini, pietre, Dio: ecco i termini d’un quadro complesso e drammatico”.

 

Uomini, pietre, Dio, ecco i tre interpreti dell’opera che Franco Cardini non esita a definire il “libro forse più enigmatico e straordinario che Fosco Maraini ha scritto con il fervore dell’anima e la penetrazione della mente”. Con competenza e sapienza ad un tempo archeologica, antropologica, biblica, storica e teologica e tuttavia mai specialistica, raccontando di terre e di luoghi, di edifici sacri e di costruzioni militari, dei grandi personaggi della storia, di gente della strada e di pellegrini, Maraini guida il lettore attraverso la millenaria storia di Gerusalemme che dal misterioso Melchisedek, re di Salem, che appare dal nulla, senza antenati ne discendenti, ha accolto gebusei, ebrei, babilonesi, persiani , greci, siriaci, romani, bizantini, arabi, crociati, mamelucchi, ottomani, inglesi giordani, israeliti. La Città della pace è in realtà un eterno campo di battaglia di una guerra infinta, dove dietro un odio che si rinnova all’origine si cela, paradossalmente, un amore infinito.

 

Una canzone popolare di Naomi Shemer che l’autore evoca in uno dei passaggi più intensi del libro, ha una strofa sulla “Gerusalemme d’oro e di luce”, che un soldato più sensibile alla realtà ha parafrasato cantando “Gerusalemme di ferro e di piombo e di sangue”. Commenta Maraini: “Di sangue! Chi ha letto con un  po’ di cuore la storia di Gerusalemme nei secoli deve ringraziare gli dèi di una sola cosa: che il sangue sia delebile, ch’esso si sciolga con la pioggia, si secchi nel sole e scompaia: se il sangue fosse indelebile Gerusalemme sarebbe rossa. Tutta rossa”

 

Lo sguardo acuto dell’autore, al tempo stesso fanciullescamente incantato e realisticamente disincantato, consegna descrizioni degli edifici sacri e di luoghi più rappresentativi della Città santa: la spianata del Tempio, il Muro del pianto, il Duomo della Roccia, Il Santo Sepolcro, Mea Shearim, le tortuose strade della città vecchia. Di ognuno non si limita a tracciarne la storia ma descrive nei minimi particolari le persone che vi incontra, i loro abiti, ciò che si mangia e si beve, l’atmosfera che si respira, i colori, i suoni, gli odori, i gesti, i riti, i canti e le preghiere. Vede lì circoncidere e poco oltre battezzare; lì festeggiare il Messia risuscitato e là attendere un Messia venturo; qui citare i profeti e là osannare il Profeta; se qui è festa il venerdì, là il sabato e più oltre la domenica; qui si suonano le campane, là lo shofar, e dai minareti senti la voce del muezzin. Alla fine non può che esclamare: “Ahi dolce babelica Gerusalemme, nella tua luce d’oro, nei tuoi cieli di cobalto! Confesso che di fronte a tanta fantasia metafisica e sartoriale, cronologia e dietetica, teurgica e gastronomica, escatologica e scatologica, omiletica e sessuale, il pensiero più vivo e spesso poco riverente: povero Dio, come fai a capirci qualcosa in questo cosmico brodo dei tuoi tanti creati?”

 

Al termine della lettura non possiamo che far nostro l’interrogativo  di Fosco Maraini: “Che Gerusalemme sia città della spada e del fuoco, dell’urlo e del sangue, proprio perché è la città della stella, della croce, della mezza luna?”. Gerusalemme è l’ombelico del cosmo perché è il simbolo delle contraddizioni che attraversano il mondo intero e Maraini possiede la non comune capacità di consegnare la storia brutale e seducente di una sacralità disputata e a tratti violenta, perfettamente e dolorosamente attuale nella sua complessità. Eppure le tragiche evidenze della storia non fermano l’anelito più profondo dei credenti nelle tre religioni che riconoscono il Dio di Abramo come l’unico Dio: vedere la città santa di Gerusalemme come luogo di una pace possibile, una pace dono di Dio e profezia umana, una pace che non è solo assenza di guerra ma presenza di shalom - salam, “vita piena”, salute, armonia nella propria e nell’altrui esistenza.

 

Dopo più settant’anni di pace viviamo il primo Natale di guerra nella nostra Europa e se, come in ogni Natale faremo, memoria della nascita di colui il cui nome messianico è “Principe della pace”, oggi il desiderio si fa invocazione consapevole che gli uomini da soli non riescono a portare a compimento la vocazione pacificante di Gerusalemme, ma nel contempo è anche assunzione di responsabilità, impegno fattivo affinché le opere, i pensieri, le parole di pace e di vita prevalgano sulle pulsioni di guerra e di morte.