Lo scoglio di Roccaporena, Bollettino del Santuario di Santa Rita - Febbraio 2018
di ENZO BIANCHI
Nella comunione dei santi che percepisco come viva e forte nel mio quotidiano ho sempre custodito una donna santa, ormai dimenticata dalle nuove generazioni: santa Rita da Cascia. Perché questa presenza così marcata? Appena nato, mia madre mi aveva affidato a lei, attivando anche a mio nome, “Bianchi Giovanni”, un abbonamento perpetuo al Bollettino del Santuario di Santa Rita da Cascia a Torino. E mia madre mi portò con sé in pellegrinaggio proprio a quella chiesa, per invocare l’intercessione di quella santa su di lei gravemente malata, su di me che vivevo un’infanzia precaria e su mio padre, peraltro non credente.
Il bollettino mi arrivò puntualmente fino alla mia giovinezza, poi non lo vidi più. Ma Rita, questa donna tra le sante più amate dalla gente semplice, dai cristiani quotidiani, da famiglie che conoscevano la durezza del mestiere di vivere, è rimasta per me una presenza luminosa caratterizzata dalle diverse tappe della sua vita tribolata. Sposata a un uomo violento, brutale e impossibile, Paolo di Ferdinando di Mancino, Rita si trovò a vivere nella fatica e nell’oppressione, sovente maltrattata, nonostante cercasse di amare e, potremmo dire, di umanizzare suo marito, da cui ebbe due gemelli. Con la pazienza, il rinnovamento quotidiano dell’amore, riuscì a mutare il cuore e l’atteggiamento di un padre-padrone e marito violento. Un giorno però il corpo di Paolo, barbaramente assassinato, viene ritrovato in una vigna vicino alla loro casa. E nel giro di un anno anche i due figli gemelli di Rita, Gian Giacomo e Paolo Maria, si ammalarono e morirono ancora adolescenti.
La storia di Rita è una storia dura, in cui sembra prevalere solo la sofferenza, eppure Rita riesce ad attraversarla grazie all’amore, non cessando mai di amare la famiglia e i vicini di Roccaporena dove viveva. La sua era una vita “normale”, una vita di donna cristiana, di sposa e di madre, una vita di quotidiana condivisione. Dopo l’assassinio del marito, diventò anche una vita tesa alla rappacificazione tra i familiari del marito e quelli degli assassini: Rita seppe vincere con l’amore l’odio e la vendetta, spezzando la catena della violenza e l’ineluttabilità della faida, allora spirale di morte ritenuta indispensabile per riparare l’offesa.
Vedova e senza figli, Rita entrò nel monastero delle Agostiniane a Cascia e per quarant’anni condusse una vita di deserto, di fervente intercessione per l’umanità, di solidarietà con i peccatori. Ma un’altra stagione di sofferenza l’attendeva: una piaga dolorosa in fronte prese a tormentarla. Tuttavia per questa donna di fede la ferita in fronte, sopportata continuando ad accettare di amare e di essere amata, divenne assimilazione al Crocifisso. Cos’era quella piaga? Il marchio di una malattia non definita o il segno della passione di Cristo dalla quale Rita con umiltà attingeva forza e carità? Era come una rosa rossa purpurea in mezzo alla fronte, generata forse dall’intensa contemplazione del volto sofferente di Cristo incoronato di spine… Rita si avviò con volto sorridente verso la morte e nella sua agonia chiese all’anziana cugina di portarle una rosa rossa dal giardino della sua casa di Roccaporena, una rosa fiorita in pieno inverno… La cugina ubbidì, trovò la rosa in mezzo alla neve e gliela portò: così Rita morì con la rosa in mano, quasi a dire a quanti si recarono a salutare la salma che quella macchia rossa sulla fronte andava letta come una rosa rossa, frutto dell’amore vissuto.
So bene che nel corso dei secoli santa Rita è servita a tenere molte donne silenziose, sottomesse e asservite a mariti prepotenti, ma al di là del “cattivo uso” che se ne è fatto, santa Rita resta esempio splendido dell’amore paziente che sa vincere la violenza ed edificare la pace. Sì, ai tempi della mia infanzia quante donne, maltrattate dai mariti nella vita rozza di campagna, ho visto pregare in chiesa davanti all’immagine di santa Rita, intercedendo per il marito spesso violento e per i figli, invocando protezione per la loro vita faticosa di donne, di spose e di madri… Portavano in mano una rosa rossa, immagine della loro preghiera e della loro speranza.