Pubblicato su: Jesus - Rubrica La bisaccia del mendicante - Ottobre 2017
di ENZO BIANCHI
Sempre di più, lo confesso e non me ne vergogno, mi interrogo sulla fede, sulla mia fede e sulla fede dei cristiani. Che cos’è la fede? Secondo tutta la rivelazione ebraico-cristiana credere è mettere il piede sul sicuro, restare saldi, aderire a… Questa fede può nascere solo dall’ascolto (cf. Rm 10,17) di una parola di Dio che giunge al cuore umano e, nella forza dello Spirito santo, porta a rispondere: “Io aderisco, credo, ho fiducia nel Signore”. Affinché sia possibile accogliere questo dono di Dio, occorre solo avere un cuore aperto, esercitato alla fiducia negli altri, nella vita, nel futuro, un cuore non indurito dal callo della sfiducia.
Sì, la fede può innestarsi sulla fiducia umana! Proprio per questo nei vangeli troviamo delle affermazioni di Gesù che ci stupiscono e suonano paradossali. Si pensi a quando Gesù afferma apertamente di aver trovato più fede in un centurione pagano che in Israele (cf. Mt 8,10; Lc 7,9), il popolo dei credenti nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; o alle sue parole rivolte alla donna cananea, siro-fenicia: “Donna, grande è la tua fede!” (Mt 15,28). Per questo mi domando: qual è la mia fede? Sono disposto a fare un esame della mia fede, come chiede l’Apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: “Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi?”? La mia fede è “poca fede” (oligopistía: Mt 17,20)?, o e addirittura “mancanza di fede” (apistía: Mc 6,6; Mt 13,58), rendendomi così appartenente alla “generazione incredula” (Mc 9,19; Mt 17,17)? Se anche gli Undici restano increduli dopo aver incontrato Gesù risorto da morte, non sarò anch’io incredulo perché duro di cuore (cf. Mc 16,14)?
Quale discepolo di Gesù devo interrogarmi e non restare tranquillo, come se la fede fosse un dato acquisito una volta per sempre. Il cammino della fede si rivela in realtà faticoso, difficile, pieno di tentazioni, ed è per questo che la fede va custodita, esercitata e soprattutto costantemente rinnovata perché non venga meno. Affinché la nostra fede resti viva, occorre non solo vigilanza ma anche preghiera, invocazione al Signore perché ci renda saldi nelle avversità e nelle tentazioni. Ognuno di noi deve sentire rivolte anche a sé le parole di Gesù: “Ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno” (Lc 22,32).
Paolo parla chiaramente della battaglia della fede, anzi della “buona battaglia della fede” (1Tm 6,12). Occorre combattere per la fede, ma non contro nemici esterni, come sovente si è insegnato, bensì contro il nemico che ci abita, che dimora nelle nostre profondità e si ribella al credere, all’avere fiducia nel Signore! Sono anziano e credo di poter avere una certa esperienza che mi fa indicare la battaglia della fede come la battaglia più dura, fino alla morte, quando ancora sarà grande la tentazione di non credere alla vita eterna, alla morte come esodo verso le braccia di Gesù Cristo. Molti non sanno che è più difficile credere che non credere, che è più difficile continuare a vivere alla luce della fede che non alla luce di ciò che si vede e si impone (cf. 2Cor 5,7)… I credenti, per “credere”, devono lottare molto di più di quanto non facciano gli atei per non credere: l’uomo, infatti, è facilmente religioso ma difficilmente credente.
Chissà, dunque, se mi sarà concesso di dire, con Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (2Tm 4,7). Sembra poco, eppure è l’unica cosa per cui l’Apostolo ringrazia il Signore alla fine della sua vita. In questa attesa mi consola la morte di Teresa di Lisieux, la quale, nella notte della fede pur lottando contro la tentazione dell’incredulità, interrompe il dialogo con la madre superiora che le è accanto per pronunciare queste ultime parole: “Guardando il crocifisso, disse: ‘Oh, quanto ti amo! Mio Dio, ti amo!’”. Sì, quando si eclissa la luce della fede per Teresina si accende la fiaccola della carità, perché a volte la fede sa esprimersi solo con l’amore!