Pubblicato su: Credere - 17 Settembre 2017
di ENZO BIANCHI
Nella tappa precedente del nostro percorso sulla Parola di Dio abbiamo preso in esame le linee essenziali della costituzione conciliare Dei Verbum (= DV). In quel testo si afferma che la Parola è “sorgente pura e perenne della vita spirituale” (DV21) e che per attingerla occorre una “lettura assidua” della Scrittura (assidua lectio: DV 25) volta non all’erudizione, ma alla “conoscenza di Cristo” (DV 25) e all’“amore di Dio” (cf. DV 23). In questo modo, di fatto, la DV ha sollecitato la ripresa dell’antica pratica della lectio divina, ovvero di una lettura delle Scritture che divenga svelamento e discernimento di una Presenza, del volto di Cristo. Cristo infatti – afferma un altro testo conciliare – “è presente nella sua Parola” (Sacrosantum Concilium 7).
Ma per comprendere adeguatamente la lectio divina, raccomandata con insistenza anche nel magistero degli ultimi papi, è necessario avere ben chiaro che cosa sia la santa Scrittura, la Bibbia, quell’insieme di libri (dal greco tà biblía) composti in epoche e luoghi diversi, scritti in tre lingue diverse e caratterizzati da generi letterari differenziati, che costituiscono “il Libro” per eccellenza. Da sempre Dio si è rivelato a noi esseri umani, ha alzato il velo su di sé per manifestare la propria volontà ed entrare in alleanza con noi, chiedendoci solo di accettare i suoi doni meravigliosi. E si è rivelato attraverso la sua Parola efficace che, ascoltata e accolta dai credenti nel loro cuore, ha portato e porta frutti di vita abbondante, di comunione, di gioia condivisa. Ma per rivelarsi compiutamente a noi uomini Dio ci ha fatto il suo dono più grande e definitivo, quello di suo Figlio (cf. Eb 1,1-2), la Parola che nella pienezza dei tempi si è fatta carne, uomo (cf. Gv 1,14). Gesù Cristo è la Parola di Dio in quanto Figlio rivelatore e testimone del Padre, capace di farne una narrazione definitiva: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio unigenito lo ha raccontato (exeghésato)” (Gv 1,18), lo ha narrato e spiegato a noi. La Bibbia dunque, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento, è il documento letterario che testimonia l’evento complessivo della rivelazione; è un memoriale canonico ispirato e ispirante per chi la legge; è un segno scritto che, interpretato nella fede e “alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta” (DV 12), ci guida a scoprire la Parola che Dio rivolge a ciascuno di noi oggi; ci guida all’incontro con Gesù Cristo, lui che è la chiave ultima per aprire le Scritture.
In questo cammino si situa l’arte della lectio divina, un metodo di approccio alla Scrittura che mira a fare della lettura della Bibbia l’ascolto di una “Parola viva ed efficace” (Eb 4,12), l’apertura a una presenza e la sua accoglienza obbediente. Questo antico e semplice metodo di “pregare la Parola”, che affonda le proprie radici già nel giudaismo, ha conosciuto una grande fioritura in epoca patristica e lungo tutto il primo millennio, fino a dare i suoi frutti maturi grazie ai monaci cistercensi e certosini. La lectio divina è stata però progressivamente dimenticata a partire dai secoli XIII-XIV, a causa dell’affermarsi di una lectio scholastica, cioè di una lettura della Bibbia volta a dimostrare determinate posizioni teologiche, e poi offuscata dalla devotio moderna e da una meditazione essenzialmente introspettiva e psicologica. È in seguito al concilio Vaticano II che la lectio divina ha conosciuto una vera e propria resurrezione fino a diffondersi nelle parrocchie e nel tessuto della chiesa locale: si pensi solo alla prassi della lectio comunitaria promossa da alcuni vescovi, che costituisce ormai una tradizione ben radicata in tante diocesi.
Ma quali sono le “tappe” della lectio divina personale, qual è l’itinerario spirituale che ogni cristiano è chiamato a personalizzare nel proprio oggi? Ci viene in aiuto la formulazione elaborata da un monaco del XII secolo, Guigo II il Certosino:
Un giorno, mentre ero occupato nel lavoro manuale, presi a riflettere sull’attività spirituale dell’uomo. Allora improvvisamente quattro gradini spirituali si offersero all’intima mia riflessione: la lettura (lectio), la meditazione (meditatio), la preghiera (oratio) e la contemplazione (contemplatio) … La lettura è un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. La preghiera è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è come un innalzamento al di sopra di sé da parte dell’anima sospesa in Dio, che gusta le gioie della dolcezza eterna.
Occorre subito precisare che questo itinerario, non schematico ma interiore, richiede alcune condizioni concrete che lo agevolano, a cominciare da un luogo di solitudine e di silenzio: per cercare e ascoltare Dio “che è nel segreto” (Mt 6,6), per ascoltare in verità e con attenzione la sua Parola, occorre far tacere le parole e i rumori che assordano il nostro cuore, operando una presa di distanza dalle molte presenze che lo abitano. Inoltre, in questo incontro con il Signore è essenziale coinvolgere anche il corpo, perché la lectio divina non è un’attività meramente intellettuale ma riguarda tutta la persona: la disposizione raccolta, lo stare desti, il chinarsi sulla “sacra pagina” come esortavano i padri della chiesa. Anche per questo è bene dedicare alla lectio un tempo fisso nella giornata, cui restare fedeli: solo così si mostra il desiderio di instaurare una relazione seria con colui che è il Signore della nostra vita, non un “tappabuchi” cui si concede qualche ritaglio di tempo o al quale ci si appella solo nel bisogno.
La lectio divina è preceduta dall’epiclesi, cioè l’invocazione allo Spirito santo affinché apra gli orecchi del nostro cuore e rischiari la nostra intelligenza. È lo Spirito che ci spinge a uscire da noi stessi e ci dispone ad accogliere l’azione di Dio in noi: non siamo noi i soggetti e gli autori della preghiera, ma è lo Spirito che, effuso nel nostro cuore, lo abilita a gridare: “Abba, Padre!” (cf. Rm 8,15; Gal 4,6). Senza l’invocazione dello Spirito, la lectio resta un esercizio umano, incapace di introdurre alla relazione con Dio, che oggi (cf. Sal 95,7; Eb 3,15; 4,7), qui e ora, desidera parlare al nostro cuore.
A questo punto inizia la lectio vera e propria, cioè la lettura della pagina biblica, scelta non soggettivamente o a caso, ma accolta in obbedienza al lezionario della chiesa o alla lettura continua di un intero libro biblico, a partire da quelli più semplici e fondamentali al tempo stesso, come per esempio il Vangelo secondo Marco o l’Esodo. Nella consapevolezza di essere in ascolto di Dio che parla, il credente legge il brano più volte ad alta voce e cerca di memorizzarlo per evitare il rischio, specie se il testo è già noto, di una lettura frettolosa e superficiale. In tal senso può essere utile ricopiare il testo o confrontarlo con una diversa traduzione: ciò obbliga a uno sforzo di concentrazione capace di far cogliere aspetti del testo stesso di cui non ci si era mai accorti…
Questa fase è già intimamente connessa a quella della meditazione, da intendersi non nel senso di un esercizio introspettivo o di auto-analisi psicologizzante. Non bisogna indulgere a troppi sguardi su di sé ma volgere piuttosto la propria attenzione al Signore, disponendosi ad accogliere la sua Parola: è guardando alla sua luce che vediamo la luce (cf. Sal 36,10) e veniamo trasfigurati nella sua stessa immagine (cf. 2Cor 3,18)… La meditazione è un lavoro di approfondimento del senso del testo, fatto soprattutto interpretando la Scrittura con la Scrittura, ossia allargando il contenuto del brano letto con l’apporto di altri passi biblici; in questa opera di “scavo” può intervenire l’apporto di commenti spirituali dei padri della chiesa, nonché di strumenti di studio, come dizionari biblici, concordanze, commentari esegetici, senza tuttavia esagerarne l’importanza e scegliendoli anche in base alla propria formazione e sensibilità… Inizia così il dialogo tra la vita di chi legge e il messaggio del testo: mentre si legge la Parola contenuta nelle Scritture è la Parola che misteriosamente legge la nostra vita.
È a questo punto che sorge in noi la preghiera: il credente si rivolge a Dio con il “tu” e risponde alla Parola ascoltata mediante l’intercessione, il ringraziamento, la supplica… Qui nessuno può né dovrebbe dare indicazioni precise a un altro, se non l’esortazione alla docilità allo Spirito e alla Parola ascoltata. Può avvenire che la preghiera si manifesti con un silenzio di adorazione o con il gioioso dono delle lacrime di compunzione; ma occorre anche ricordare che a volte il testo resiste ai nostri sforzi di comprensione e la nostra preghiera non sgorga… Quel che è certo è che l’efficacia dell’assiduità alla Parola di Dio si misura sul lungo periodo e richiede perseveranza: se siamo fedeli a questo incontro quotidiano, prima o poi la Parola scava un varco nel nostro cuore e lo apre alla contemplazione. Quest’ultima non designa uno stato estatico e neppure allude a “visioni”, ma indica la progressiva conformazione del nostro sguardo a quello di Dio: la contemplazione cristiana consiste nel vedere il mondo con gli occhi di Dio; così si vedono con occhi nuovi noi stessi e chi ci vive accanto, si vede una donna dove gli altri vedono una prostituta, si vede un uomo dove gli altri vedono un delinquente…
Non dimentichiamo infine che la Scrittura, autentica “lettera d’amore inviata da Dio all’umanità” – secondo una bella immagine coniata dai padri della chiesa –, è data per essere vissuta e obbedita: vivere la Parola diviene così il criterio fondamentale per comprendere la Scrittura stessa, la quale si svela nella misura in cui la mettiamo in pratica, giorno dopo giorno. È così che, come diceva Gregorio Magno, “la Scrittura cresce con chi la legge”; è così che avviene il passaggio pasquale dalla pagina alla vita e la lectio divina plasma uomini e donne capaci di amore, capaci di “avere in sé lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù” (cf. Fil 2,5). Fino a poter giungere ad affermare, come l’Apostolo Paolo: “Io vivo, ma non vivo più io: è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Lectio: leggere la pagina biblica attentamente, con calma, più volte, cercando di porsi in suo ascolto con tutto il cuore, la mente e le forze. Mentre noi leggiamo la Scrittura, è la Scrittura che legge noi.
Meditatio: riflettere, meditare, leggere la Scrittura con la Scrittura. Si tratta di applicarsi totalmente a comprendere il testo e, nel contempo, di applicare a sé ciò che il testo rivela.
Oratio: si risponde al Signore che ci ha parlato nella pagina biblica, elevando a lui con intelligenza e creatività l’intercessione, la supplica, la lode, il ringraziamento.
Contemplatio: vedere tutto e tutti con gli occhi di Dio, con il suo sentire in grande, assumendo il sentire, pensare, parlare e agire di Gesù, e vivendo di conseguenza.