Il Blog di Enzo Bianchi

Il Blog di Enzo Bianchi 

​Fondatore della comunità di Bose

Non di solo pane

25/09/2011 01:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2011,

Non di solo pane

La Stampa

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25 settembre 2011
di ENZO BIANCHI

Il pane necessario per vivere, senza il quale si va incontro alla morte, non basta a far vivere gli umani. È necessario qualcosa oltre il pane

 

La Stampa, 25 settembre 2011
di ENZO BIANCHI

 

Si legge nel libro del Deuteronomio: «[Il Signore] ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore » (Dt 8,3). Gesù riprende queste parole mentre si trova nel deserto, assalito dalla fame dopo quaranta giorni di digiuno, ed è tentato di ricorrere al miracolo di trasformare in pane i sassi che stanno davanti a lui. Ma al divisore egli risponde: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (Mt 4,4; cf. Lc 4,4).

 

Il pane necessario per vivere, senza il quale si va incontro alla morte, non basta a far vivere gli umani. È necessario qualcosa oltre il pane, qualcosa di cui il pane è solo segno, qualcosa che come il pane sappia portare vita, ma una vita altra rispetto a quella meramente biologica. L’uomo si è umanizzato il giorno in cui ha inventato e fatto il pane, ma la sua umanizzazione ha bisogno di qualcosa che trascenda il pane. C’è infatti nell’uomo una fame, un desiderio, una ricerca che non si ferma al cibo: il cibo è assolutamente necessario, ma non è sufficiente perché un uomo si umanizzi. Ognuno di noi, lo sappia o no, per istinto vuole vivere e dunque cerca, guadagna pane con il lavoro, ma ciò non gli basta: ognuno cerca un senso nella vita, perché è abitato da una fame, la fame di divenire essere umano.
L’umanità, questa condizione che ciascuno di noi vive e di cui è responsabile, è una condizione di transizione tra l’animalità e l’umanità vera, e il cammino che siamo chiamati a percorrere è quello mai finito dell’umanizzazione. Il grande etologo Konrad Lorenz ha affermato che «l’anello mancante tra la scimmia e l’uomo siamo noi»: ciascuno di noi è questo anello, perché il nostro compito è quello di umanizzarci. L’uomo ha fame di diventare ciò che crede di essere, e questo cammino è nelle sue mani, è consegnato alla sua libertà, alle sue fatiche individuali e collettive, alla sua responsabilità. Diventare umani: questo è il grande compito che sta davanti a ciascuno di noi! L’umanesimo e il cristianesimo convergono su tale obiettivo. Questa ricerca di senso, cioè

 

di orientamento e direzione (Dove vado?),

 

di significato (Cosa significa? Voglio comprendere!),

 

di sentire il reale (Come posso vivere in pienezza con i cinque sensi?),

 

fa sì che l’uomo si umanizzi. Questo è il pane dell’uomo al di là del pane. Occorre rifiutare la proposizione di Jean-Jacques Rousseau secondo cui «l’uomo è naturalmente buono, ma è la società che lo deprava, lo rende cattivo», perché non è mai esistito un «buon selvaggio», ma l’umanità deve essere conquistata giorno per giorno. Il nostro compito è quello di resistere di fronte alla disumanizzazione, alla barbarie, alla bestialità che è in noi e di attivarci perché sia possibile una convivenza più umana, una terra più abitabile, una società, una polis in cui gli uomini si umanizzino sempre di più.

 

 

C’è un cammino, ci sono delle opzioni decisive per l’umanizzazione? Sì, esistono molti cammini possibili, ma ce n’è uno elementare, che li riassume tutti. Prima di parlarne a mo’ di conclusione vorrei però tracciare alcuni cammini essenziali, alcune vie di umanizzazione che il cristianesimo ha sempre elaborato e affermato, ma che anche l’uomo non munito della fede cristiana ha saputo indicare. Innanzitutto vi è il cammino della libertà: la libertà va esercitata, non la si mendica né la si chiede, la si esercita e basta. È indegno dell’uomo mendicare la libertà! Nel quotidiano l’uomo può sempre praticarla, perché c’è almeno un’occasione al giorno in cui non essere vili, pigri, paurosi, ma essere liberi. Sappiamo bene che il potere politico, quello economico, quello ideologico sono tentati di conculcare la libertà, ma spetta a noi esercitarla di fronte a tali poteri.

 

Insieme alla libertà occorre affermare anche l’uguaglianza, non l’egualitarismo che misconosce le differenze, ma l’uguaglianza che richiede il riconoscimento dei diritti di ogni persona e di ogni collettività. La democrazia vive se c’è questo riconoscimento dell’uguaglianza di ogni persona, di ogni umano, persona come me. Il tuo prossimo è come te stesso – dice il comandamento ripreso e compiuto da Gesù – e accanto a te non c’è più ebreo, né greco (cf. Gal 3,28; Col 3,11), né marocchino, né indiano…, ma solo un uomo, una donna come te. Vi è inoltre il cammino della fraternità, cioè la prassi di solidarietà che tesse legami fraterni, la capacità di vivere l’amore tra tutti gli esseri umani. Ciò richiede di uscire da se stessi per incontrare l’altro, per ascoltarlo, per conoscerlo, per comunicare con lui, per creare legami di affetto e di convivenza.

 

Questo è il cammino dell’umanizzazione, che esige responsabilità e impegno da parte di ciascuno di noi: ecco di cosa vive l’uomo, attraverso cosa si umanizza in profondità. Nell’attuale contesto sociale mi permetto infine di indicare la necessità della resistenza. Mi riferisco alla resistenza civile in vista del cammino di umanizzazione, a un comportamento che richiede l’esercizio di molte responsabilità: la responsabilità ecologica, per contrastare il deserto che avanza; quella dell’affermazione della legalità e della giustizia, senza le quali sono calpestate proprio la libertà, l’uguaglianza e la fraternità; quella della convivialità – come la definiva Ivan Illich –, che significa partecipazione di tutti gli umani alla tavola del mondo, alle risorse della terra; quella della bellezza, compito essenziale per contrastare la bruttezza che ci invade. Sì, dobbiamo affermare ed esercitare il diritto alla resistenza. In proposito mi piace ricordare le parole di Giuseppe Dossetti, che il 21 novembre 1946, quale membro dell’assemblea costituente, presentò in commissione questa proposta di articolo: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino». Tale mozione non fu approvata, ma ciò che essa esprime è tuttora di estrema attualità.

 

Vorrei infine parlare brevemente della tavola, il sito del pane, il luogo essenziale dell’umanizzazione. A tavola si dovrebbe convergere per mangiare da uomini, non da animali. Per questo la tavola è sempre stata percepita come l’emblema dell’umanizzazione, il luogo per eccellenza in cui ci si umanizza lungo tutta la vita, da quando da piccoli si è ammessi alla tavola ancora sul seggiolone, fino alla vecchiaia. Anche in queste due fasi estreme della vita stiamo a tavola, magari aiutati da altri, ma stiamo pur sempre a tavola.
Il nostro stare a tavola dice la nostra libertà: libertà di figli in famiglia, libertà di amici che si invitano, libertà di chi serve e qualità signoriale di chi è servito. Ma a tavola si sperimenta anche l’uguaglianza, un’uguaglianza ordinata: tutti sono chiamati a mangiare con gli stessi diritti, vecchi e bambini, adulti e giovani; tutti possono prendere la parola, domandare e rispondere. A tavola si impara a parlare oltre che a mangiare, si impara ad ascoltare e a intervenire nella convivialità. Infine a tavola si fraternizza, si condivide il pane tra compagni, ossia persone che mangiano lo stesso pane, secondo l’etimologia di questa parola (cum-panis). La tavola ha un magistero decisivo per noi e per ogni essere umano che viene al mondo: ne siamo consapevoli?

 

A tavola si impara e si verifica che non di solo pane vive l’uomo, perché da piccoli abbiamo bisogno che qualcuno ci dia da mangiare, da adulti di qualcuno che ci prepari il cibo con amore e con il cibo esprima il suo amore; abbiamo bisogno di dire grazie e di capire che ciò che mangiamo non è solo l’unione di natura e cultura ma è anche dono che ci viene fatto. È a tavola che celebriamo la nascita, l’amore nelle nozze, gli eventi che ci rendono felici e che danno senso alla nostra vita. A tavola ci esercitiamo, o meglio dovremmo esercitarci, a condividere e a fare della tavola stessa un luogo in cui accogliamo e invitiamo l’altro. La tavola non è mai per uno solo, è per l’altro, per gli altri, per la fraternità, l’amore, l’umanizzazione: e il pane troneggia su di essa per essere spezzato e condiviso, per nutrire e per ricordarci che non di solo pane vive l’uomo.

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: La Stampa