Pubblicato su: Jesus - Febbraio 2016
di ENZO BIANCHI
In quest’anno giubilare della misericordia voluto da papa Francesco la chiesa intera dovrebbe esercitarsi nel “fare misericordia” (cf. Lc 10,37) verso tutti, perché tutti peccatori davanti a Dio, tutti bisognosi, in modi diversi, di cura da parte degli altri, tutti mendicanti di amore. Così le diverse componenti della chiesa chiederanno misericordia a Dio, impegnandosi al contempo a diventare servi e ministri della misericordia ricevuta, esercitandola nei confronti degli altri.
In ogni epoca della storia della chiesa – proprio perché anche nello spazio ecclesiale regnano ideologie dovute all’aria che si respira nel mondo – ci sono manifestazioni di male e di peccato che diventano più odiose che in altri tempi, ossessivamente denunciate e condannate con inedito rigore. Proprio per questo, pur nella consapevolezza di contrariare molti, vorrei chiedere che questa misericordia invocata per tutti e praticata con convinzione, si manifestasse anche come misericordia verso i nostri pastori, presbiteri e vescovi. Lo chiedo con la libertà di un semplice fedele che, nonostante gli inviti dei suoi vescovi, per fedeltà alla vocazione monastica non ha mai voluto essere ordinato presbitero. Non vorrei che quest’anno e questa stagione ecclesiale finisse per essere occasione di misericordia verso tutti i peccatori a eccezione dei presbiteri.
Ora la vita ecclesiale, se è cristiana, è prendersi cura gli uni degli altri, è lavarsi reciprocamente i piedi sporchi per il cammino fatto nella vita, è portare i pesi gli uni degli altri, è non vergognarsi del fratello che è caduto, non abbandonarlo né tanto meno espellerlo dalla comunità cristiana. Il peccato di un membro della chiesa contamina tutto il corpo, ma proprio questa solidarietà nel peccato deve spingere tutti all’esercizio della compassione verso i membri deboli e malati del popolo di Dio, deve far intraprendere una cura soprattutto da parte di quelli che sono in grado di venire in aiuto a chi subisce la prova. Le mancanze dei pastori possono essere occasione di scandalo specialmente dei più piccoli, ma la comunità cristiana non deve viverle come minacce ma come opportunità di aiuto reciproco, nella consapevolezza che ogni cristiano non è mai estraneo al peccato dell’altro. Quando ormai dieci anni fa fece irruzione nella chiesa e nel mondo il terribile scandalo della pedofilia – in cui erano implicati anche presbiteri e vescovi – si pensò di rispondere con “tolleranza zero”: mi ribellai, dicendo che quell’espressione non apparteneva al linguaggio evangelico, né poteva essere riconosciuta come cristiana.
L’opinione pubblica considera i responsabili di quel delitto dei mostri e la chiesa in questo ha di frequente assunto lo stesso atteggiamento. In verità, accogliendo da decenni nella mia comunità presbiteri che attraversano varie tipologie di difficoltà (compresi alcuni che si sono macchiati di queste detestabili violenze su minori), ascoltandoli e ponendomi accanto a loro, ho potuto verificare come le loro patologie richiedano innanzitutto e risolutamente la difesa dei minori, la riparazione secondo giustizia offerta alle vittime, l’allontanamento dei colpevoli da situazioni che faciliterebbero la reiterazione del crimine. Nessuno, e tanto meno l’autorità ecclesiastica, deve occultare, silenziare, minimizzare il crimine, né impedire il procedimento inquirente e giudiziario, ma a nessuno è chiesto di denunciare chi è stato affidato alla sua guida e dovrebbe quindi poter nutrire fiducia piena nell’autorità che per lui è come un padre. Queste persone restano sempre nostri fratelli, ai quali deve andare la nostra misericordia. È vero che il perdono non sostituisce la giustizia, come ha affermato Benedetto XVI, ma una volta che la giustizia ha fatto il suo corso senza essere ostacolata, la chiesa deve ricordare che “la misericordia vince sul giudizio” (Gc 2,13).
Sono tante le situazioni che richiedono misericordia, anche quando nessun reato è stato commesso: presbiteri che cadono nell’alcolismo o cercano in vari modi di dimenticare la loro solitudine, presbiteri che hanno abbandonato il ministero ma, consapevoli del loro venir meno agli impegni assunti, hanno cercato di non dar scandalo alla chiesa… Di queste persone si può solo parlare se le si incontra, se le si ascolta, se si mette la mano nelle loro mani, se le si conosce: solo allora, infatti, si vede la loro fragilità e, accanto al loro cattivo operare, si scorge anche il bene che hanno operato, la dedizione sovente mostrata verso i poveri e gli ultimi. In ogni essere umano c’è sempre il bene e nessuno è totalmente preda del male compiuto e, comunque, da questo può sempre essere liberato in virtù dell’amore, del perdono che gli si mostra. Per molti di loro la colpa è riconducibile a un momento di debolezza, a una contraddizione mai cercata, sopraggiunta nell’inesperienza della giovinezza o nella vecchiaia, dopo una vita irreprensibile.
Quando alla sera prego per le persone che ho incontrato, vi scorrono anche immagini di presbiteri o vescovi soli, isolati, che a volte vivono in povertà, in abitazioni che assomigliano più a uffici o stanze d’albergo che non a case abitate, poveri preti che in paesi sperduti cercano con l’alcol di non sentire la disperazione o giovani preti che ricorrono a internet in cerca di una parola che li riconosca come uomini. Queste sono vie errate e svianti di far fronte alle difficoltà del ministero, ma sono quelle percorse, con fatica e senza fierezza alcuna, da molte persone. E chi di noi si sente di giudicarle? Chi di noi può sentirsi migliore di loro? Anche a loro accade di cedere alle tentazioni ordinarie di ogni persona: i presbiteri sono uomini!
L’anno della vita sacerdotale e quello della vita religiosa sono stati entrambi caratterizzati da scandali, così che molti peccati e cadute di membri del clero facilmente oggi diventano pubblici. Ma questo dato ora pesa come un macigno indistintamente su ogni presbitero: ormai di loro si è pronti a diffidare, spesso li si accusa indistintamente e li si condanna con rigorismo fanatico e irrazionale. Per questo oso chiedere alla chiesa misericordia anche per i presbiteri che hanno sbagliato di fronte a Dio e di fronte agli uomini. Ormai il pregiudizio sembra sovente regnare anche nella chiesa e occorrerebbe essere più prudenti e avere maggior discernimento quando si denuncia o si corregge. Non tutti si sono macchiati di crimini, anche se tutti siamo peccatori, e in tutti, oltre al peccato c’è anche il bene operato: si abbia il coraggio di allontanare i “corrotti”, quelli che cercano potere e dominio e, pur occupando posti di governo nella chiesa, sembrano non credere al vangelo di Gesù Cristo. Ma per tutti i peccatori si abbia misericordia: anche per i presbiteri quest’anno sia giubileo di misericordia!