Pubblicato su: JESUS - Giugno 2015 - Rubrica La bisaccia del mendicante
di ENZO BIANCHI
La polarizzazione ottimismo/pessimismo è quasi sempre inadeguata per leggere le diverse situazioni e può risultare sviante. Eppure a volte non se ne può fare a meno e occorre assumersi il rischio di questa semplificazione, confidando che il lettore ne colga i limiti e le parzialità. Non posso allora esimermi dall’affermare che oggi c’è, a mio avviso, troppo ottimismo nella chiesa legato all’attuale pontificato. Papa Francesco rappresenta per molti cattolici – e non solo, ma anche per cristiani di altra confessione, per non cristiani, credenti o non credenti in Dio – un uomo, un cristiano divenuto papa affidabile, al quale si può guardare con fiducia e speranza. In un mondo dove fiducia e speranza si sono indebolite, svuotate e, comunque, sono diventate rare per mancanza di guide capaci di “in-segnare”, di dare un orientamento, di aiutare a sperare, questa presenza è un evento straordinario.
A papa Francesco si guarda innanzitutto per la sua capacità di farsi sentire vicino a ogni uomo, a ogni donna, ma anche a ogni gruppo sociale e a ogni popolo. La sua semplicità evangelica, la sua trasparenza, la sua parresia di fronte a tutti, il suo sapersi decentrare rispetto a Gesù Cristo il Signore, il suo rifiuto di presentarsi come chi sostituisce o rappresenta un Assente, hanno creato nel cuore di molti un’attesa, una percezione di lui come pastore buono perché pieno di amore e pastore “bello” (secondo l’espressione evangelica) perché capace di attirare al Vangelo chi l’aveva sentito tradito o non l’aveva mai ascoltato.
Certo, quando converso con quelli della mia generazione, la generazione di papa Giovanni e del concilio, sento i loro cuori ardere per questa primavera della chiesa, e posso testimoniare che molti – a quell’epoca ferventi nella fede e impegnati nella vita ecclesiale, ma allontanatisi negli anni ottanta – oggi ritornano a dirsi cristiani, a sentire la chiesa come la loro casa. È opinione comune che a due anni dall’inizio del pontificato il clima della vita ecclesiale sia molto mutato, le paure a lungo vissute sembrano appartenere a un passato lontano, c’è una ripresa della parola “libera e franca”, anche se vediamo molti di quelli che fino a ieri esultavano per l’incoraggiamento del tradizionalismo e denunciavano quelli che volevano restare fedeli al concilio e a Paolo VI – un papa diventato per decenni innominabile! – oggi sono tra quelli che applaudono papa Francesco in modo ostentato e chiassoso. Ma è noto che l’arte di salire sul carro dei regnanti è sempre stata molto praticata, soprattutto nella chiesa italiana. Già il Siracide ammoniva: “C’è chi come un cavallo beffardo, nitrisce sotto chiunque lo cavalca” (Sir 33,6).
Ma questo consenso così largo a volte mi turba, conoscendo dai vangeli i mutamenti della folla nei confronti di Gesù! Così mi turba vedere che è iniziata da parte di alcuni uomini di chiesa una certa delegittimazione di papa Francesco: lo si fa oggetto non solo di critiche – come avveniva anche per Benedetto XVI – ma di manifesta sufficienza fino al disprezzo. In modo ritmico e ossessivo si ripete che papa Francesco va capito bene, che il suo linguaggio va reinterpretato attraverso una salda teologia, che le sue intenzioni di riforma sono ventilate ma non motivate, che questa stagione è un tempo breve da vivere resistendo perché presto tutto tornerà come prima… Specularmente c’è chi, di fronte a queste “mormorazioni”, assicura che non si potrà tornare indietro, che ci saranno alcuni gesti e riforme che non potranno essere contraddetti o dimenticati, che comunque in futuro i cristiani potranno ripetere le parole di papa Francesco o appellarsi ad esse senza timore di sanzioni. Parole queste, a mio vedere, molto ingenue e troppo ottimistiche. Chi in questi ultimi decenni in Italia si appellava al concilio è stato sistematicamente censurato, gli si è negata la parola in contesti ecclesiali ufficiali, si è arrivati alle calunnie cercando di collocarlo su posizioni eretiche. Un giorno qualcuno scriverà la storia di queste persone che sono state tacitate e hanno fatto obbedienza, che non hanno contestato e che avevano la colpa di parlare con franchezza e di cercare di essere, pur con tutti i loro limiti e peccati, solo eco del Vangelo.
Lo vado ripetendo dalla fine del concilio: dove si fa strada al Vangelo, si patisce di più, e su ogni primavera evangelica dobbiamo attendere gelate repentine. Il tempo della vita “bella, buona, beata” è quello del Regno che viene, quando scompariranno le istituzioni ecclesiastiche perché sposa del Signore sarà l’umanità redenta.