Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Commento al Compendio del Catechismo - 51

11/08/2013 01:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2013,

Commento al Compendio del Catechismo - 51

Famiglia Cristiana

Pubblicato su: Famiglia Cristiana - 11 agosto 2013


Rubrica di ENZO BIANCHI


Ma com’è possibile il perdono nella nostra vita quotidiana? Si tratta di un cammino lungo e faticoso, che comporta almeno due tappe essenziali

Com’è possibile il perdono? 

 

La misericordia penetra nel nostro cuore solo se noi pure sappiamo perdonare, perfino ai nostri nemici. Ora, anche se per l’uomo sembra impossibile soddisfare a questa esigenza, il cuore che si offre allo Spirito santo può, come Cristo, amare fino all’estremo della carità, tramutare la ferita in compassione, trasformare l’offesa in intercessione. Il perdono partecipa della misericordia divina, ed è un vertice della preghiera cristiana.

 

(Commento al COMPENDIO DEL CATECHISMO
su “Il Padre nostro” 595) 

 

Il perdono ha a che fare con il male, una realtà che nelle sue varie forme è ben presente nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Il male commesso è irreversibile, resta male anche dopo il perdono, ma può essere trasceso. Con il perdono, radicato nel perdono preveniente donatoci da Dio in Gesù Cristo, chi ha subìto il male ricrea le condizioni per un nuovo inizio nella relazione con l’altro: questa è l’azione dello “Spirito santo, il quale è la remissione dei peccati” (preghiera liturgica), è il perdono che ricrea vita là dove c’è morte.

 

Ma com’è possibile il perdono nella nostra vita quotidiana? Si tratta di un cammino lungo e faticoso, che comporta almeno due tappe essenziali. Innanzitutto occorre rinunciare alla tentazione impulsiva di rispondere al male con il male, interrompendo la spirale distruttiva dell’odio e della vendetta. Non si tratta di perdonare subito, con una forzatura della volontà, e neppure di esercitarsi a dimenticare, perché il male subìto non va negato né dimenticato: è male, e come tale va ricordato, perché nel farne memoria si riconosce ciò che è mortifero, che non deve ripetersi più e che, soprattutto, non va ripetuto da chi ha sofferto il male. Occorre però imporsi di non dare corso alla rabbia, alla violenza che in noi vorrebbe esplodere. La rinuncia è un atto al quale occorre allenarsi costantemente, per poter avere padronanza su noi stessi e sui nostri istinti aggressivi.

 

 

In un secondo momento bisogna sforzarsi di vedere con amore chi ci ha offeso. Se abbiamo rinunciato a vendicarci, prima o poi giungeremo a scorgere nell’altro il suo non essere identificabile con il male che ha commesso. L’altro non è il male, non incarna il male, non può essere demonizzato: l’altro è un uomo, una donna che ha commesso un’azione che è male. Se non si assume questo sguardo, l’unico esito possibile è la condanna a morte dell’offensore e la sua negazione, a costo della sua distruzione. Ma l’uomo non è un delitto che ha personalità, è e resta un uomo!

 

In tutto questo va messo in rilievo il peso della grazia di Dio, delle energie del suo Spirito santo che possono operare in noi ciò che noi non possiamo operare e portare a compimento ciò che noi possiamo solo iniziare (cf. Fil 1,6). Una volta predisposto ciò che possiamo, a un certo punto dobbiamo chiedere a Dio la forza di perdonare. Si tratta, in altre parole, di esercitarsi nella preghiera ad assumere lo sguardo di Dio, il sentire di Cristo (cf. Fil 2,5; 1Cor 2,16). Non c’è altra via, e se siamo veramente cristiani, ossia credenti nel Dio che Gesù Cristo ci ha narrato: “imitatori di Dio” (Ef 5,1), sull’esempio di Cristo, siamo chiamati a perdonare, compiendo gesti d’amore. È possibile questo? Sì, è possibile, sull’esempio di Cristo e con la forza dello Spirito santo!