Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Commento al Compendio del Catechismo - 50

04/08/2013 00:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2013,

Commento al Compendio del Catechismo - 50

Famiglia Cristiana

Pubblicato su: Famiglia Cristiana - 4 agosto 2013


Rubrica di ENZO BIANCHI


Ecco ciò che compete al discepolo di Gesù Cristo: perdonare agli altri prima di mettersi a pregare

Perché diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”? 

 

Chiedendo a Dio Padre di perdonarci, ci riconosciamo peccatori dinanzi a lui. Ma confessiamo al tempo stesso la sua misericordia, perché, nel Figlio suo e attraverso i sacramenti, “riceviamo la redenzione, la remissione dei peccati” (Col1,14). La nostra domanda, tuttavia, verrà esaudita solo a condizione che noi, prima, abbiamo a nostra volta perdonato.

 

 (Commento al COMPENDIO DEL CATECHISMO
su “Il Padre nostro” 594)

 

La formulazione di questa domanda differisce in Matteo e in Luca: Matteo parla di “debiti” (Mt 6,12), mentre Luca ricorre al più teologico “peccati” (Lc 11,4). Il suo contenuto resta però invariato: una richiesta a Dio di perdono. Il credente sa bene di essere un debitore, sa che la sua vita registra debiti sempre accesi con Dio e con i fratelli. Ascoltando la Parola, egli giunge a comprendere che questi errori sono ingiustizia e dunque peccato. Non si può non ricordare, in proposito, la straordinaria parola di Isacco di Ninive: “Colui che riconosce il proprio peccato è più grande di chi risuscita i morti”…


Il cristiano è un uomo che “si è convertito dagli idoli a Dio” (cf. 1Ts 1,9), ma nel suo cammino di ritorno al Padre non è mai giunto una volta per tutte: ogni giorno deve rinnovare la sua conversione, lottando contro il peccato, che è sempre una contraddizione all’amore. In questa fatica quotidiana egli si scopre debitore, responsabile di pensieri, parole, azioni o omissioni con cui ha sottratto ai fratelli ciò che invece doveva loro. Ecco perché Gesù ci insegna a chiedere a Dio di rimettere i nostri peccati: solo con il perdono possiamo ricominciare, solo il perdono sempre preveniente di Dio ci induce a conversione (cf. Lc 15,11-32)! Chiedere perdono a Dio significa domandargli che egli crei in noi un cuore puro (cf. Sal 51,12), faccia nuovo lo spirito che ci abita (cf. Ez 36,26): di fronte al suo amore saremo così spronati ad arrossire, a non amare più i nostri idoli falsi (cf. Ez 16,61-63), a ritornare a lui con tutto il cuore (cf. Gl 2,12).

 

Ma il perdono chiesto a Dio è condizionato dal perdono che noi accordiamo agli altri, ai fratelli e alle sorelle. Certo, il perdono di Dio precede il nostro perdono reciproco, ma è proprio il perdono dato all’altro che ci apre al perdono di Dio. Gesù è molto netto al riguardo, come mostra il commento che egli fa seguire solo a questa domanda del Padre nostro: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15; cf. anche Mt 18,35).

 

Ecco ciò che compete al discepolo di Gesù Cristo: perdonare agli altri prima di mettersi a pregare (cf. Mc 11,25), prima di portare l’offerta all’altare (cf. Mt 5,23); perdonare “settanta volte sette” (Mt 18,22); perdonare fino ad amare, a fare del bene e a pregare per chi gli fa del male e gli è nemico (cf. Mt 5,38-48; Lc 6,27-36). Solo così noi cristiani saremo beati, ottenendo misericordia in quanto misericordiosi (cf. Mt 5,7), saremo “figli dell’Altissimo, che è buono verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,35): allora sperimenteremo veramente la remissione dei peccati da parte di Dio, l’unica esperienza di salvezza a noi concessa qui sulla terra (cf. Lc 1,77).