Pubblicato su: Famiglia Cristiana - 28 luglio 2013
Rubrica di ENZO BIANCHI
Un vero credente sa assumere ogni giorno la fame di pane e, nella gratitudine a Dio che lo esaudisce, sa condividerlo con gli altri
Qual è il senso della domanda: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”?
Chiedendo a Dio, con l’abbandono fiducioso dei figli, il nutrimento quotidiano necessario a tutti per la propria sussistenza, riconosciamo quanto Dio nostro Padre sia buono al di là di ogni bontà. Domandiamo anche la grazia di saper agire perché la giustizia e la condivisione permettano all’abbondanza degli uni di sopperire ai bisogni degli altri.
Qual è il senso specificamente cristiano di questa domanda?
Poiché “l’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4), questa domanda riguarda ugualmente la fame della Parola di Dio e quella del Corpo di Cristoricevuto nell’Eucaristia, come pure la fame dello Spirito santo. Noi lo domandiamo con una confidenza assoluta, per oggi, l’oggi di Dio, e questo ci viene dato soprattutto nell’Eucaristia, che anticipa il banchetto del Regno che verrà.
(Commento al COMPENDIO DEL CATECHISMO
su “Il Padre nostro” 592 e 593)
Al cuore della preghiera del Signore sta la domanda del pane espressa con fiducia al Padre: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11; cf. Lc 11,3). Dopo le grandi richieste a favore di Dio, eccone una molto semplice. Ci si potrebbe stupire dell’umiltà di questa domanda, ma a mio avviso essa è eminentemente contemplativa: è il modo con cui il credente afferma la signoria di Dio sulle realtà create; è l’atteggiamento di chi sa di non poter disporre della propria vita, ma riconosce di riceverla da Dio. La vera difficoltà è costituita dalla comprensione dell’aggettivo epioúsios, normalmente tradotto con “quotidiano”. Due, in sintesi, le interpretazioni possibili: il pane essenziale, necessario per la sussistenza, e il pane celeste, sovra-essenziale, il pane del Regno.
Si chiede innanzitutto a Dio il pane di cui l’uomo ha bisogno per vivere. Ciò corrisponde a una presa di coscienza della nostra realtà: siamo esseri che hanno bisogno di nutrirsi per vivere. Il pane inoltre è ciò che abbiamo seminato, fatto crescere, raccolto, trasformato in farina, impastato e cotto; è frutto della terra lavorata dall’uomo, della cultura dunque, e, nel contempo, è un dono del Padre: lui ci ha dato la vita, lui ce la dona ogni giorno mediante il pane! Con questa richiesta si inizia a pregare alla prima persona plurale: si dice “nostro pane”, lo si chiede per sé insieme agli altri, a indicare che soprattutto il pane deve testimoniare la nostra filialità nei confronti di Dio e la fraternità che ci accomuna. È così che nella prima comunità cristiana “i credenti tenevano ogni cosa in comune” (At 2,44) e “a ciascuno veniva dato secondo il suo bisogno” (At 4,35). Era proprio questa condivisione che, unita alla fede, permetteva ai cristiani di essere “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32): e tutto trovava una sua sintesi nel gesto della “frazione del pane” (At 2,42), che recava in sé la valenza eucaristica ma anche quella del pane quotidianamente condiviso.
Il pane epioúsios può però essere inteso anche come “pane del Regno” (cf. Lc 14,15), quello di cui l’uomo vive oltre il pane materiale: “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4; cf. Dt 8,3). Si tratta del pane della Parola di Dio e dell’Eucaristia, quel “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51) che è Gesù Cristo stesso. Purtroppo fame di pane e fame della Parola (cf. Am 8,11) nell’attuale contesto socio-culturale sono poste in concorrenza, nel senso che il soddisfacimento della prima sembra impedire la seconda… Ma un vero credente sa assumere ogni giorno la fame di pane e, nella gratitudine a Dio che lo esaudisce, sa condividerlo con gli altri; nello stesso tempo, chiedendo il pane quotidiano, impara a leggere il proprio bisogno della sua Parola vivente, Gesù Cristo, per camminare con lui nella fede verso il banchetto del Regno.