Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Caro Diogneto 53

09/05/2013 01:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2013,

Caro Diogneto 53

Jesus

Pubblicato su: Jesus - Maggio 2013


di ENZO BIANCHI


Qualcosa torna a germogliare e a fiorire, la chiesa “donna anziana” sembra ringiovanirsi, “quelli della soglia” hanno di nuovo il desiderio di rientrare in chiesa

UN’ALTRA PRIMAVERA?

 

Per me, per la mia generazione, resta innegabile l’avvento di una grazia che ha segnato la vita cristiana e umana: la grazia di una primavera per la chiesa. Non ho mai dimenticato quell’annuncio profetico fatto da Pio XII all’Azione cattolica italiana nel maggio del 1958. Ero là in piazza san Pietro ad ascoltarlo, ero giovanissimo e tornai a casa impressionato: cosa sarà questa primavera di cui il papa ci avverte? Poco dopo venne quell’uomo che, diventato papa, assunse il nome di Giovanni, ed ecco, a cento giorni dalla sua elezione, l’annuncio di un concilio ecumenico... Non solo ci fu un’attesa carica di speranza, ma subito cominciò a crescere in tutta la chiesa una consapevolezza dell’essere cristiani, soprattutto da parte dei cristiani quotidiani che – con il loro sensus fidei, con quel fiuto spirituale molto più acuto di quanto venga loro riconosciuto – si sentirono partecipi della vita ecclesiale. Era il nascere di una nuova stagione: la primavera, come ebbe a dire anche papa Giovanni. Si voleva una primavera per la chiesa, un aggiornamento, un rinnovamento della fede, ed ecco avvenire questo mutamento di clima, di atteggiamento.     

 

La chiesa come cittadella abbatteva i bastioni nei quali si era rinchiusa per difendersi negli ultimi secoli; la chiesa lasciava gli accenti intransigenti e severi verso la società e si metteva in ascolto dell’umanità; la chiesa, che si era esercitata in un ministero di condanna per proteggere i fedeli, preferiva ora usare la medicina della misericordia; la chiesa, che tanto si era identificata con l’antica cristianità, si esercitava a diventare veramente universale, capace di accogliere le altre genti e le culture diverse. Sì, noi eravamo nella giovinezza, in noi c’era un’austera formazione ascetica e spirituale post-tridentina, eravamo formati – e lo cantavamo  convinti – a essere “arditi della fede, araldi della croce”, al cenno del Santo Padre “un esercito all’altar!”. Eravamo abituati a una vita liturgica vissuta con una serietà quasi scrupolosa e dalla quale pochi di noi – i chierichetti preparati, quelli che sapevano il latino – attingevano la sua copiosa ricchezza. Ed ecco, poco per volta, il mutamento. Non dimentico che per noi non fu facile, ci costò un caro prezzo, perché le abitudini vissute sacralmente sono difficili da tralasciare. Ma facemmo obbedienza al concilio e percorremmo con fedeltà ecclesiale quel cammino che ci sembrava un esodo, in cui cantavamo canti nuovi... Per tutti fu una primavera: lo dicevano i pastori, lo ripetevano i fedeli.

 

 

Poi abbiamo scoperto la difficile marcia nel deserto del dopo concilio: l’autentico rinnovamento evangelico significava, come ha annunciato Gesù, abbracciare la croce e seguirlo, significava accettare la debolezza, vivere le contraddizioni nella mitezza, non sognare più una logica trionfante, esercitarsi in una comunione ecclesiale che richiedeva ad alcuni mutamento e dinamica, ad altri pazienza e perseveranza, a tutti conversione. E si sa – e la vicenda dell’esodo ce lo ricorda – che nella marcia nel deserto dove solo camminando si apre la strada, le tentazioni assalgono: nostalgie del passato, desiderio di tornare indietro, illusioni che nel passato tutto andasse bene, ma anche incursioni anticipate o avventure centrifughe prive di orientamento... Molti nella chiesa hanno sofferto, da una parte e dall’altra, e così si è acceso un clima conflittuale, una vera e propria guerra tra fratelli, così anziché “giorni buoni” sono sopraggiunti, per usare l’espressione biblica, “giorni cattivi”.     

 

Confesso di aver temuto di dover lasciare questa terra in un tempo invernale. Certo, so che nella storia per molti cristiani non c’è mai stata la possibilità di gustare una primavera nella chiesa, ma noi l’avevamo gustata e per questo non potevamo essere contenti dell’oggi ecclesiale. Del resto, non era contento – e lo disse più volte – lo stesso Benedetto XVI, non erano contenti molti pastori, così come molti semplici cristiani.   

 

Ma ora, con la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco, sembra che una nuova primavera ecclesiale sia all’orizzonte. C’è un nuovo clima, una rinnovata volontà di comunione, una dinamica che si fa audace, una riforma che si è rimessa in moto. Non si può negare questo nuovo clima in cui si torna a respirare, come scriverebbero i miei due amici autori di Manca il respiro, un clima in cui, come ho più volte auspicato, di nuovo il fuoco è ripreso perché la cenere che copriva la brace sempre infuocata è stata rimossa. Qualcosa torna a germogliare e a fiorire, la chiesa “donna anziana” sembra ringiovanirsi, “quelli della soglia” hanno di nuovo il desiderio di rientrare in chiesa, quelli che “stanno fuori” anelano a tornare a guardare attendendo con fiducia qualche segno di speranza dalla chiesa.    

 

Sogniamo? La mia preghiera è di poter vedere una seconda primavera nella mia ultima stagione di vita, prima di andarmene. E che il Signore mi preservi la visione di una gelata precoce.