Tutto libri
05 dicembre 2009
di ENZO BIANCHI
«Uno degli aspetti più curiosi della nostra cultura è che noi sembriamo essere tolleranti verso ogni genere di comportamento, eppure siamo profondamente incapaci di perdono», osserva Rowan Williams
La Stampa, Tutto libri, 05 dicembre 2009
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ROWAN WILLIAMS
primate della Chiesa anglicana
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Il cristiano oggi si trova sempre più spesso chiamato a rendere conto della speranza che lo abita, di fronte a una società e a interlocutori precisi che faticano a conoscere e a comprendere le motivazioni che animano quanti si dichiarano e cercano di essere discepoli di Gesù Cristo. In realtà questa esigenza era vivissima già nei primi decenni della diffusione delcristianesimo, durante i quali alla silenziosa e concreta testimonionza quotidiana di tanti neo-adepti si affiancò la produzione di una letteratura apologetica, tesa a difendere il diritto all'esistenza del nuovo culto, e si vennero strutturando alcune affermazioni fondamentali, i «simboli di fede», che riassumevano con un linguaggio adeguato alla cultura del tempo l'essenziale della fede cristiana.
E' proprio dal Credo o «simbolo degli apostoli» che prende le mosse Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, per parlare ai suoi fedeli della affidabilità della fede cristiana oggi: {link_prodotto:id=897}(Qiqajon, pp.168 ,€ l2) raccoglie sei conversazioni, su altrettante parole o frasi del Credo, tenute da Williams ai fedeli di Canterbury nella settimana precedente la Pasqua, «tempo adatto alla riflessione sui fondamenti della fede». L'avvio è una domanda di cogente attualità - «In chi possiamo avere fiducia?» - che riconduce la fede alle sue radici bibliche, leggendola innanzitutto come adesione, fiducia, affidabilità, «credibilità»: una fede suscitata da un uomo, Gesù di Nazaret, visto come «colui che in misura unica rende Dio credibile, degno di flducia»; una fede che di conseguenza può essere trasmessa solo da persone che nella quotidianità della loro esistenza sanno fare segno, evocare, ispirare quella medesima fiducia in quanti stanno loro accanto o vengono in contatto con il fondamento del loro pensare e agire. Del resto, la vita stessa di Gesù «era una vita umana così penetrata dagli intenti di Dio, così trasparente alla sua azione, che la gente ne parlava come della vita stessa di Dio trasferita» in un altro contesto. Fede come fiducia in una vita credibile, quindi: come percezione che esistono persone capaci, sull'esempio di Gesù, di vivere e testimoniare un modo altro di porsi nei confronti degli altri e degli eventi quotidiani, un modo fraterno, solidale, compassionevole, appassionato e, perciò, sempre comprensibile e sovente anche appassionante.
È una vita esigente l'esistenza cristiana che emerge da queste pagine, una vita che a volte si scontra con evidenti paradossi presenti ai nostri giorni - «Uno degli aspetti più curiosi della nostra cultura è che noi sembriamo essere tolleranti verso ogni genere di comportamento, eppure siamo profondamente incapaci di perdono», osserva Rowan Williams - ma che al contempo è capace di mostrare «quanto vale la verità», non con discorsi estratti; ma con «una vita spesa in un'attenzione e una focalizzazione senza risparmio» verso ciò che è destinato a durare per sempre. Una vita non facile, certo, ma eloquente quella che i cristiani sono chiamati a vivere, una vita che può condurre chi li osserva e li accosta non tanto a confessare «Sono convinto che esiste qualcosa chiamato Dio», ma più semplicemente e più radicalmente a compiere un passo verso la«scelta ultima: voglio vivere nello stesso modo in cui essi vivono; voglio sapere ciò che essi sanno e bere alle stesse sorgenti». La credibilità del vangelo ancora oggi passa dalla capacità di suscitare tali desideri nel cuore dei fratelli e sorelle in umanità.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Stampa