Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Una chiesa fondata sul dolore

16/07/2009 01:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2009,

Una chiesa fondata sul dolore

Corriere della Sera

Corriere della Sera - 16 luglio 2009

di ENZO BIANCHI

"...Uccideremo uomini innocenti perché altri hanno ucciso degli innocenti?”. Con la sua voce, la Chiesa ortodossa serba ha detto una parola evangelica per tutti gli uomini del nostro presente

 

Corriere della Sera, 16 luglio 2009

 

“Lazzaro, principe, stirpe gloriosa! / Quale regno amerai più dell’altro? / Amerai il Regno dei cieli, / O amerai il regno della terra?”. Il 15 giugno 1389 gli eserciti islamici di Murat II e la schiera del principe serbo Lazar Hreblijanovi? si fronteggiavano sul “campo dei Merli” (Kosovo polje). La disfatta serba aprì le porte al dominio ottomano. L’epos nazionale avrebbe trasformato la morte del principe nel martirio della nazione, e la sconfitta militare in un trionfo celeste: “Lo zar scelse d’amare il Regno dei cieli / E disamare il regno della terra, / E perì Lazar, principe Serbo … Ma divenuto santo e puro / Giunse al Dio misericordioso”.

 

La chiesa e la nazione serba erano nate due secoli prima da una famiglia di “santi”: il grande župan Stefano Nemanja, fondatore dello Stato medievale serbo, poi monaco a Studenica (1196) con il nome di Simeone; il suo secondogenito Stefano il Primo Incoronato, primo re serbo, e soprattutto il figlio minore, Sava, primo arcivescovo della Chiesa serba. Nel secolo successivo la Serbia tocca il culmine della sua potenza, che si riverbera nello splendore dei monasteri di De?ani, Gra?anica, Pe?: nel 1346 il primo patriarca serbo Joanikije impone la corona imperiale allo zar Stefano Dušan.

 

Quando l’autonomia statale si sfalda, è la chiesa l’identità spirituale e culturale degli sconfitti e, nell’esilio, il legame con la patria perduta. Le reliquie dei santi serbi nei monasteri sono i luoghi della memoria e della speranza di un popolo. Dopo la fallita insurrezione del 1595, il comandante della fortezza di Belgrado, Sinan Pasha, fece bruciare le reliquie di san Sava sotto gli occhi inorriditi dei serbi per spezzarne la resistenza.

 

Sul luogo del rogo sorge oggi la cattedrale di San Sava. Più di cento anni sono stati necessari per completarne la costruzione, iniziata dopo l’indipendenza della Serbia ma interrotta dalle guerre balcaniche, due guerre mondiali e cinquant’anni di regime comunista. Un secolo segnato dal massacro dei serbi tra il 1941-1944 nello Stato Indipendente Croato di Ante Paveli? (si calcolano seicentomila serbi vittime degli ustascia, duecentomila croati e ottantamila musulmani uccisi nelle vendette incrociate dei cetnici), dalle guerre jugoslave del 1991-1995 e dalla ferita ancora aperta della secessione del Kosovo. Conflitti che non hanno motivazioni religiose, ma i luoghi di culto sono diventati oggetto dell’odio, l’identificazione confessionale non si districa da quella etnica, il cammino ecumenico intrapreso tra cattolici (croati) e ortodossi (serbi) negli anni del Concilio riprende solo timidamente…

 

La Chiesa serba ha trovato in questi anni travagliati nel patriarca Pavle (Stoj?evi? - 1914), eletto nel 1990 e dal 2008 coadiuvato nelle sue funzioni dal metropolita Amfilohije del Montenegro, la figura di un umile e tenace intercessore, un uomo di Dio capace di preghiera ma anche di parresia, di una parola franca di fronte al potere politico, un uomo unificato che ha saputo evitare spaccature drammatiche in seno alla chiesa. Il suo è stato un ministero di pace ispirato all’evangelo (“dobbiamo essere noi i primi a cercarla”), un pressante invito al discernimento (“non possiamo comprendere gli eventi su cui non abbiamo meditato e se ci manca il discernimento siamo esitanti nell’azione”), un richiamo alla responsabilità davanti a Dio e agli uomini in questo “tempo di grandi tentazioni e prove”, in cui “gli uomini hanno pensieri, sentimenti, parole disumani. Uccideremo uomini innocenti perché altri hanno ucciso degli innocenti?”. Con la sua voce, la Chiesa ortodossa serba ha detto una parola evangelica per tutti gli uomini del nostro presente.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: Corriere della Sera