5 luglio 2009
di ENZO BIANCHI
Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente uniti da legami di fraternità
La Stampa, 5 luglio 2009
L’attenzione mediatica durante il viaggio di Benedetto XVI in Africa lo scorso marzo si è purtroppo focalizzata su polemiche che l’hanno preceduto (la revoca della scomunica ai vescovi lefevriani) e accompagnato (quali prevenzioni e terapie per la piaga dell’aids). Poco o nulla è stato detto invece su quanto quella visita significava e cosa preparava per “il continente della speranza”. Ora, il prossimo ottobre avrà luogo la II Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi dedicata al continente africano, che avrà come tema “La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Una riflessione sui cristiani come “sale della terra e luce del mondo” resa contestuale al continente che in questi ultimi cinquant’anni ha conosciuto la tanto attesa uscita dall’epoca coloniale e la faticosa ricerca di vie di pace, convivenza, sviluppo, democrazia.
È stato quindi attorno alle tematiche raccolte nel documento ufficiale preparatorio che hanno ruotato gli interventi di Benedetto XVI: un’analisi lucida ed esigente di aspettative, ostacoli, contraddizioni che forse non a caso è stata trascurata dai media occidentali. È un’Africa “assetata di speranza e di giustizia”, bisognosa di riconciliazione e di pace quella cui si è rivolto il papa, facendosi espressione di un sentire ecclesiale che supera i confini del continente. L’Africa per il cristianesimo ha rappresentato nel corso della storia un insieme di realtà complesse e a volte contraddittorie, le cui tracce sono ben presenti ancora oggi con le loro potenzialità e la loro problematicità: “culla del cristianesimo”, ha accolto come esule Gesù durante i suoi primi anni di vita; ha visto la predicazione del vangelo dilatarsi fin dai primi decenni da Alessandria d’Egitto all’Etiopia e all’attuale Algeria, poi ha conosciuto l’impatto travolgente dell’espansione dell’islam nel pieno della sua forza; a sud del Sahara ha visto splendori e contraddizioni di un’evangelizzazione troppo spesso mescolata alla colonizzazione e allo sfruttamento; ha assistito a miracoli di amore e dedizione e ad abissi di violenze e di ingiustizie. Una chiesa, quella africana, che ancora oggi, dopo aver “realizzato un’opzione preferenziale per i poveri”, sperimenta ambiguità e tesori, assieme a inediti risvolti di dialogo e di conflitti tra appartenenti a fedi diverse.
La chiesa è anche consapevole che, forse in modo più accentuato di quanto accade in altre parti del mondo, i problemi non hanno origine solo all’interno del continente, ma sono sovente indotti. Certo, guerre tribali, lotte intestine, ingiustizie e corruzione mortificano le potenzialità dell’Africa, ma il documento preparatorio del sinodo non tace sulle pesanti responsabilità che gravano su soggetti estranei al continente africano: “Le multinazionali – recita il documento preparatorio ufficiale che Benedetto XVI ha consegnato ai vescovi africani – continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia di ettari espropriando le popolazioni delle loro terre con la complicità dei dirigenti africani”; né è taciuta la dipendenza indotta dagli Ogm che finisce per sopprimere le semine tradizionali, così come è ferma la condanna della vendita delle armi e dei “lauti guadagni” che produce mentre moltiplica il tragico potenziale della violenza e della guerra.
Ma la visione che la chiesa ha dell’Africa – e di cui il viaggio di Benedetto XVI si è fatto araldo – non è rinchiusa in una sterile condanna: è una visione che nasce da lontano e che apre a orizzonti di solidarietà e dedizione, è elaborazione di una vera e propria “teologia della fraternità” che, stimolata dalla situazione odierna, affonda le radici nella più schietta tradizione cristiana e africana. Così scriveva l’apologeta africano Lattanzio all’inizio del IV secolo: “Il primo dovere della giustizia è riconoscere l’uomo come un fratello. Infatti, se lo stesso Dio ci ha fatti e ci ha generati tutti nella stessa condizione, in vista della giustizia e della vita eterna, noi siamo sicuramente uniti da legami di fraternità: chi non li riconosce è ingiusto”. Parole che sgorgano del continente africano e che sono ancora oggi drammaticamente disattese anche sulla nostra sponda del comune mare Mediterraneo. Parole che sono profezia di speranza anche per noi.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Stampa