Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Commento al Compendio del Catechismo - 27

23/02/2013 23:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2013,

Commento al Compendio del Catechismo - 27

Famiglia cristiana

Pubblicato su: Famiglia cristiana - 24 febbraio 2013


di ENZO BIANCHI


Il credente non deve intraprendere un cammino inedito, ma riceve dalla chiesa il canone della preghiera: i Salmi, la lettura della Scrittura, l’intercessione, il “Padre nostro” e il culmine della preghiera stessa, ossia l’eucaristia

Quali sono i luoghi favorevoli alla preghiera?


Si può pregare dovunque, ma la scelta di un luogo appropriato non è indifferente per la preghiera. La chiesa è il luogo della preghiera liturgica e dell’adorazione eucaristica. Anche altri luoghi aiutano a pregare, come un “angolo di preghiera” in casa; un monastero; un santuario.

 

(Compendio del Catechismo n. 566) 

 

Il credente vive la sua fede nella comunità, la esprime nella liturgia, preghiera di tutta la chiesa, insieme agli altri fratelli e sorelle, facendo della preghiera comune la migliore scuola di preghiera personale. Egli non deve intraprendere un cammino inedito, ma riceve dalla chiesa il canone della preghiera: i Salmi, la lettura della Scrittura, l’intercessione, il “Padre nostro” e il culmine della preghiera stessa, ossia l’eucaristia. La liturgia è dunque il “luogo”, l’ambiente vitale in cui crescere nella fede e nella comunione con il Signore.

 

Tuttavia la preghiera comune non è sufficiente: essa abbisogna dell’interiorizzazione, della gratuità di chi dà del tu a Dio personalmente, quando gli altri non sono fisicamente accanto a lui. Ecco perché Gesù ha detto: “Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6). Questo invito non è solo un antidoto all’ipocrisia di chi prega per essere visto dagli altri (cf. Mt 6,5), ma indica un modo di dialogo amoroso e intimo con Dio, “faccia a faccia” con l’Invisibile, che conosce, guarda, parla a ciascuno in modo irripetibile e unico. Sì, la preghiera personale è l’occasione di rivolgersi a Dio con libertà, di accogliere la sua Presenza, di percepire il suo stare alla porta e bussare (cf. Ap 3,20), il suo visitarci con premura. Chi si nutre unicamente di preghiera comune rischia di fare di quest’ultima solo un’esperienza di appartenenza al gruppo, se non una sorta di esibizione di fronte agli altri…

 

Oggi è proprio la preghiera personale a essere maggiormente trascurata, ma questa situazione rischia a lungo termine di svuotare anche la verità della stessa preghiera liturgica. Se nella pastorale molti sforzi sono dedicati all’iniziazione liturgica, purtroppo non sono accompagnati da un’adeguata trasmissione della preghiera personale, che dovrebbe essere insegnata fin dall’infanzia. Chi infatti non riceve fin da piccolo un’iniziazione alla preghiera personale – “luogo” quotidiano della comunione con Dio, del ricordo incessante della sua Presenza –, difficilmente potrà nutrirsene nell’età matura in modo da accrescere la fede nel Dio vivente.

 

Suonano dunque come un monito ancora attuale le parole del pensatore ebreo Martin Buber: “Se credere in Dio significa poter parlare di lui in terza persona, non credo in Dio. Se credere in lui significa potergli parlare, allora credo in Dio”. Oggi i cristiani sanno parlare di Dio; ma sanno anche, come nelle generazioni passate, parlare a Dio?