17 gennaio 2009
di ENZO BIANCHI
Agli amati fratelli ebrei – ai quali ci uniscono l’invocazione di Dio, le sante Scritture contenenti la parola di Dio e soprattutto il Salterio pregato e cantato ogni giorno
La Stampa, sabato 17 gennaio 2009
Oggi, 17 gennaio, vigilia della settimana di preghiera per l’unità visibile di tutte le confessioni cristiane, ebrei e cristiani avrebbero dovuto celebrare insieme la giornata dedicata al dialogo religioso tra loro. Questa iniziativa, voluta e perseguita da quel gruppetto sparuto che a partire dal concilio Vaticano II si era particolarmente impegnato nell’incontro, nella conoscenza e nel confronto con gli ebrei (il SAE, la Comunità di Bose e il sottoscritto, altri pionieri del dialogo ecumenico…), trovò poi nel 1990 un’istituzione precisa e fissa grazie allo stimolo di mons. Alberto Ablondi, vescovo incaricato per l’ecumenismo di parte cattolica in Italia. Un’iniziativa “italiana”, che fu più tardi assunta da altre chiese europee, un’iniziativa convinta: nel dialogo tra le chiese cristiane non si poteva dimenticare il dialogo con gli ebrei, i nostri fratelli (l’aggiunta dell’aggettivo “maggiori” ha solo un senso affettivo), perché noi e loro siamo stati generati sulla radice santa dell’Israele che è in alleanza eterna e mai revocata con il Dio uno, vivente e vero.
Sappiamo che il dialogo tra ebrei e cristiani è asimmetrico. Noi cristiani abbiamo bisogno di dialogare con loro e di guardarli come popolo di Dio nella storia, mentre gli ebrei a livello teologico non hanno un eguale bisogno di noi; infatti, terminato il tempo della teologia del disprezzo nei loro confronti, noi abbiamo iniziato ad abbozzare una teologia dell’ebraismo, mentre sappiamo di non poter pretendere un cammino speculare da parte loro. Per noi cristiani “l’Israele di Dio” (Gal 6,16), cioè gli ebrei credenti e confessanti Dio (e solo Dio li conosce in verità), ci sta accanto in attesa del compimento delle promesse di Dio, che possiamo accelerare solo attraverso la preghiera.
Non bisogna d’altra parte dimenticare che, dopo lo “scisma” tra ebrei e cristiani alla fine del I secolo e fino all’ora del concilio Vaticano II, noi abbiamo pregato inoculando nelle nostre preghiere sovente disprezzo e a volte vero e proprio odio nei confronti degli ebrei. Basterebbe ricordare che il venerdì santo pregavamo “per i perfidi giudei” e per loro non ci inginocchiavamo, ma addirittura facevamo baccano con le raganelle, strumento sinistro in uso solo nei giorni santi. Poi venne la fine del disprezzo, soprattutto grazie a Giovanni XXIII, che tolse dalla liturgia l’aggettivo “perfidi” e chiese che si pregasse solo “per i giudei”. Da allora è stato fatto un cammino impensabile anche per noi addetti ai lavori e, in un certo senso, impegnati nel dialogo ecumenico: lo dimostrano i testi del Vaticano II (in particolare la Dichiarazione Nostra Aetate), la riforma liturgica, le parole sull’“alleanza mai revocata” pronunciate da Giovanni Paolo II nella sua visita del 1980 alla sinagoga di Magonza, la preghiera comune fatta nel 1986 nella sinagoga di Roma, fino ai recenti incontri di Benedetto XVI con gli ebrei. Va riconosciuto: è stato un cammino imprevedibile e molto più rapido dello stesso cammino ecumenico tra cristiani!
E tuttavia oggi questa giornata di dialogo non sarà celebrata congiuntamente perché gli ebrei italiani ne hanno chiesto una “sospensione”, in quanto la preghiera per gli ebrei formulata in sostituzione di quella presente nel Messale Romano promulgato da Giovanni XXIII (1962) è stata letta come offensiva da parte di alcuni rabbini e di gruppi di ebrei italiani. Cerchiamo dunque di comprendere con molta semplicità i problemi in gioco. Nella preghiera per gli ebrei contenuta nell’antico Messale Romano, sulla quale era già intervenuto Giovanni XXIII togliendo l’aggettivo “perfidi”, rimanevano formulazioni non soddisfacenti: “Preghiamo per i giudei, affinché il Signore nostro Dio tolga dai loro cuori il velo, e anch’essi riconoscano Gesù Cristo nostro Signore … Dio onnipotente, che non rigetti dalla tua misericordia neppure i giudei, esaudisci le preghiere che ti rivolgiamo per questo popolo accecato affinché, riconoscendo la luce della tua verità che è Cristo, siano strappati alle loro tenebre”. È vero che queste espressioni sono eco di parole e di pensieri presenti nelle Scritture, ma lo è altrettanto che il giudizio in esse formulato sugli ebrei può essere da loro recepito come offensivo. Occorre però ricordare – e per ora nessuno lo ha fatto – che queste osservazioni valgono in verità anche per altri testi delle preghiere cristiane. Anche per i non cristiani si pregava (e si continua a pregare, secondo il Messale di Pio V) “affinché Dio onnipotente tolga l’iniquità dai loro cuori in modo che, abbandonati i loro idoli, si convertano al Dio vivente e vero”. E in molte altre formule di preghiera della liturgia delle Ore si trovano parole simili; senza contare che, se uno conoscesse le preghiere della liturgia ortodossa, sarebbe ancora più imbarazzato di fronte all’antigiudaismo in esse ancora oggi presente.
Dunque innanzitutto occorrerebbe una vera revisione di tutte le preghiere cristiane indirizzate a Dio per gli uomini non cristiani, appartenenti ad altre religioni, non credenti… La preghiera deve essere sempre piena di rispetto, di amore, non deve mai esprimere giudizi di condanna degli uomini. Sì, occorre da parte di tutte le chiese una revisione affinché le formule di preghiera obbediscano realmente all’adagio tradizionale “lex orandi lex credendi”, siano conformi al Vangelo, al messaggio cristiano, siano preghiere che lo Spirito santo possa assumere nella verità di un Dio che è carità.
Una volta ricordata questa esigenza, occorre anche essere chiari sulla fede dei cristiani: quando essi pregano, pregano il Dio vivente sempre attraverso Gesù Cristo e in comunione con lo Spirito santo. Questo significa che pregano non come gli ebrei, pur indirizzando la preghiera al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma lo fanno con Gesù, da loro confessato Signore, Cristo e Salvatore del mondo; lo fanno credendo che Gesù è la realizzazione delle promesse fatte ai padri, credendo che egli verrà presto nella gloria, e il suo giorno sarà “il giorno di Adonaj”. Di conseguenza, i cristiani nella loro preghiera intercedono per tutti gli uomini, chiedono che “tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4); e poiché essi amano con tutto il cuore Gesù Cristo loro speranza, desiderano che la loro beatitudine nel sentirsi discepoli, fratelli di Gesù e figli di Dio in lui Figlio di Dio, sia condivisa dagli altri uomini. Non possono fare altrimenti, se non vogliono aprirsi a una schizofrenia nella fede, mettendo tale fede tra parentesi ogni volta che pregano per gli ebrei.
E allora? Le preghiere che sono state proposte lo scorso anno in sostituzione di quelle pre-conciliari e che sono state rifiutate da alcuni ebrei suonano così: “Preghiamo per gli ebrei. Il Signore Dio nostro illumini i loro cuori affinché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini … Dio onnipotente ed eterno, tu che ‘vuoi che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità’ (1Tm 2,4), concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua chiesa, tutto Israele sia salvato (cf. Rm 11,25-27)”. Ora, questa formulazione non è intitolata “Per la conversione degli ebrei” (come quella del 1962), non contiene nessun giudizio, nessuna offesa contro Israele, contro il popolo di Dio, il popolo delle alleanze e delle benedizioni; inoltre – occorre dirlo onestamente – non chiede agli ebrei la conversione come passaggio dall’ebraismo alla chiesa cristiana. Le espressioni della preghiera sono bibliche, come abbiamo segnalato attraverso le citazioni poste tra parentesi, e fanno parte della fede cristiana. I cristiani sperano, desiderano e quindi pregano perché tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità, perché tutti siano salvati, e sperano che, al momento escatologico dell’ingresso di tutte le genti nella pienezza (pleroma), tutto Israele sia salvato. Una parte di Israele ha accolto Cristo (i giudei cristiani tra i quali gli apostoli, i discepoli, lo stesso Paolo ieri, e altri giudei cristiani oggi), un’altra parte non l’ha accolto, ma la speranza è che tutto Israele conosca la salvezza, come e quando vuole Dio. Dunque questa preghiera non chiede né una missione, né tanto meno un proselitismo verso gli ebrei. E se c’è una preghiera perché gli ebrei siano salvati e giungano a riconoscere colui che noi cristiani crediamo il Cristo, il Messia promesso a loro prima che a noi, non si pensi a un’imposizione né tanto meno a una strategia per la loro conversione. Quando preghiamo, ogni nostro desiderio è sempre sottomesso al: “Sia fatta, o Dio, la tua volontà”, quindi non la nostra!
E infine vorrei ricordare che in ogni caso gli ebrei stessi pregano come preghiamo noi, con gli stessi Salmi, perché gli idolatri conoscano il vero Dio, perché tutte le genti della terra riconoscano il Dio di Israele, perché – come dice il profeta Isaia – tutti i popoli della terra vengano in pellegrinaggio ad adorare il Dio unico a Gerusalemme. Di più, anche gli ebrei nella preghiera delle “Diciotto benedizioni”, ed esattamente nella dodicesima, la cosiddetta benedizione “contro gli eretici (minim)”, secondo la volontà di rabban Gamaliel (90 d.C.), che ha introdotto il termine minim in riferimento ai cristiani, pregano: “Non ci sia speranza per gli eretici”…
Non si esageri dunque la decisione della sospensione di questa giornata, nessuno si offenda; si prenda però atto che per ora è difficile comunicare la nostra fede e le nostre intenzioni, e che secoli di diffidenza non sono ancora cancellati del tutto. Agli amati fratelli ebrei – ai quali ci uniscono l’invocazione di Dio, le sante Scritture contenenti la parola di Dio e soprattutto il Salterio pregato e cantato ogni giorno nelle loro sinagoghe e nei nostri monasteri, cioè ci unisce la speranza che “il Signore mandi colui che ha destinato come Messia” (At 3,20) – noi dobbiamo dire tutto il nostro amore, dobbiamo saper rinnovare la richiesta di perdono per l’ostilità che abbiamo nutrito nei loro confronti, ma chiediamo anche di capire la nostra fede: il loro desiderio-amore per il Dio loro rivelato è lo stesso desiderio-amore nostro nel confessare che “Gesù ha narrato Dio” (cf. Gv 1,18) definitivamente e che per noi egli è Messia, Signore e Salvatore. Come gli ebrei desiderano che la loro fede sia condivisa dalle genti, così anche noi desideriamo che lo sia la nostra fede, ma rispettiamo le vie diverse, non imponiamo nulla né chiediamo agli altri di fare la volontà di Dio nel modo che spetta a noi attuare. Tutto questo senza però mai dimenticare il vincolo indistruttibile che ci lega: cristiani ed ebrei siamo entrambi figli dell’alleanza perenne con Dio, figli dell’Israele dell’alleanza al Sinai, dell’alleanza con David… Sì, siamo fratelli – potremmo dire – “gemelli”, perché abbiamo gli stessi padri, e siamo chiamati a vivere la speranza che ci unisce nella differenza che ci separa, fino al tempo escatologico, quando Dio darà compimento a tutte le sue promesse.
ENZO BIANCHI
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Pubblicato su: La Stampa