7 settembre 2008
di ENZO BIANCHI
Per la prima volta, di fronte a una crisi internazionale con scontri militari, vittime civili e profughi si sono levati appelli tempestivi e concordi
Avvenire, 7 settembre 2008
Vi è un aspetto dei tragici eventi accaduti recentemente in Georgia che è passato per lo più inosservato ma che costituisce per molti versi un’autentica novità foriera di speranze: per la prima volta, di fronte a una crisi internazionale con scontri militari, vittime civili e profughi si sono levati appelli tempestivi e concordi da parte delle chiese cristiane delle diverse nazioni implicate per porre fine alle violenze e ristabilire la pace. Papa Benedetto XVI è intervenuto auspicando che “cessino immediatamente le azioni militari e che ci si astenga, anche in nome della comune eredità cristiana, da ulteriori confronti e ritorsioni violente ... si riprenda, invece, risolutamente il cammino del negoziato e del dialogo rispettoso e costruttivo, evitando così ulteriori, laceranti sofferenze a quelle care popolazioni”. La “comune eredità cristiana” sottolineata dal papa ci ricorda non tanto la presenza plurisecolare in Georgia di una esigua minoranza cattolico-latina, quanto la tradizione ortodossa presente in quella terra fin dal IV secolo, cioè ben seicento anni prima del “battesimo” della Russia.
Assume allora un significato tutto particolare l’appello di Alessio II, patriarca di Mosca allo scoppio delle ostilità: “Oggi è stato versato del sangue, numerose persone sono state uccise e il mio cuore ne è profondamente addolorato: vi sono cristiani ortodossi tra coloro che hanno levato le mani gli uni contro gli altri: popoli ortodossi chiamati dal Signore a vivere in fraternità e nell’amore sono in conflitto. So dell’appello alla pace fatto dal catholicos di Georgia Ilia II. Anch’io elevo un ardente appello: non permettete che venga sparso altro sangue ... La chiesa ortodossa russa è pronta a unire i propri sforzi a quelli della chiesa georgiana e a contribuire al raggiungimento della pace”. E il catholicos di Georgia aveva usato parole simili: “Siamo profondamente coinvolti dai tragici eventi in cui dei cristiani ortodossi si stanno uccidendo a vicenda. Dobbiamo intensificare la nostra preghiera, ribadendo il nostro costante sostegno a una soluzione pacifica dei problemi: non c’è pace senza giustizia e noi crediamo che riusciremo a superare le ostilità e a ristabilire relazioni fraterne con l’aiuto di Dio e nel suo Nome”. Alle loro voci si sono unite anche quelle dei responsabili delle chiese minoritarie presenti nelle terre del conflitto: la comunità cattolica e quella evangelica battista che hanno entrambe chiesto il cessate il fuoco e l’assistenza a tutte le vittime del conflitto. Anche il consiglio delle chiese d’Europa, l’organismo che riunisce le chiese protestanti e ortodosse del continente, nei giorni scorsi ha inviato in Georgia e Russia una delegazione ecumenica “per incoraggiare i cristiani di entrambi i paesi a parlarsi e a pregare gli uni per gli altri”.
Sì, i cristiani di un continente che ancora nel secolo scorso aveva visto le chiese nazionali benedire i rispettivi eserciti impegnati in guerre fratricide, hanno mostrato in questa circostanza che le radici cristiane da loro rivendicate sono solide e sanno portare frutto a loro tempo: il dialogo ecumenico, l’apertura alla dimensione universale della fede, il riconoscimento di errori del passato li ha condotti su strade sempre più fedeli a quella tracciata una volta per tutte dal Principe della pace.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: Avvenire