Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Caro Diogneto - 13

19/01/2010 23:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2010,

Caro Diogneto - 13

Jesus

Pubblicato su: JESUS - gennaio 2010


di ENZO BIANCHI


Ogni anno, a gennaio siamo invitati non solo a pregare per l’unità dei cristiani, ma anche – proprio per poter pregare in spirito e verità – a interrogarci su cosa ne abbiamo fatto della preghiera di Gesù al Padre  

Ogni anno, a gennaio siamo invitati non solo a pregare per l’unità dei cristiani, ma anche – proprio per poter pregare in spirito e verità – a interrogarci su cosa ne abbiamo fatto della preghiera di Gesù al Padre perché i suoi discepoli “siano una cosa sola”. Si tratta di far nascere e crescere una capacità di sentire il fratello nella fede – anche il fratello con il quale la comunione non è piena – come un appartenente al corpo di Cristo, un mio fratello, con cui deve esserci conoscenza reciproca e condivisione. Non è infatti possibile essere cristiani e non volere l’unità, essere cristiani e non fare tutto ciò che è possibile per la comunione. Chi agisce e vive per la comunione con Cristo non può, simultaneamente, non agire e non vivere per la riconciliazione e la comunione con i suoi fratelli e le sue sorelle, membra del suo stesso corpo. 

 

In questa ricerca di un’autentica spiritualità di comunione la “forma” della chiesa primitiva può offrire ispirazione per affrontare alcune urgenze attualissime ancora oggi. Innanzitutto, l’esigenza che la comunione sia plurale. Non si dimentichi che la pluralità, la diversità è attestata già negli scritti fondatori della nostra fede. Dell’unico Signore Gesù Cristo – “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8) – ci sono stati dati quattro vangeli, cioè quattro annunci diversi, perché non la fissità di un libro, di uno scritto, bensì la dinamicità dello Spirito santo è all’origine del cristianesimo. C’è fin dall’inizio pluralità di espressioni scritturistiche, di ecclesiologie, di concezioni cristologiche, di prassi liturgiche, di testimonianze e forme della missione, di accenti spirituali… Questa pluralità – che riflette la multicolore sapienza di Dio (cf. Ef 3,10) e l’inesauribilità del mistero di Cristo accolto in culture diverse – è ricchezza di doni, ma è anche negazione di ogni fondamentalismo e di ogni integralismo cristiano. È significativo che, fin dalle origini, l’unico Gesù Cristo abbia dato spazio a diversi cristianesimi (giudeo-cristiano, etno-cristiano…), perché il Cristo creduto è connesso a comunità diverse di credenti, che si aprono a una conoscenza diversa e a un’attuazione diversa del mistero. Nelle Scritture neotestamentarie, nelle liturgie, nella vita delle chiese le diversità non sono negate ma assunte, e così l’unica verità, che è Gesù Cristo, è detta, celebrata, pensata in modi differenti.

 

A questo dato neotestamentario fondamentale si sono rifatti anche i padri conciliari del Vaticano II per offrirci indicazioni decisive in merito. Se non contraddice la comunione, ciò che è particolare non solo non pregiudica l’unità, ma anzi la serve, e chi presiede nella carità alla comunione universale è chiamato a tutelare le legittime diversità e a compaginarle nell’unità (cf. Lumen Gentium 13). Perché “la diversità nella chiesa non solo non nuoce alla sua unità, ma anzi la manifesta” (Orientalium Ecclesiarum 2), la fa emergere come una ricchezza, la valorizza. Il principio dell’unità, infatti, è lo Spirito santo, il quale è nel contempo colui che produce la varietà di grazie e di ministeri, che arricchisce con vari doni la chiesa di Gesù Cristo, “affinché sia edificato il corpo di Cristo” (Ef 4,12; cf. Unitatis Redintegratio 2). E ancora: la diversità, lungi dall’opporsi all’unità della chiesa, “ne accresce la bellezza, e contribuisce non poco al compimento della sua missione” (UR 16). 

 

Sì, se si accoglie la diversità come un dono, e non la si ritiene un’anomalia, se la chiesa “catholica” sa accogliere le particolarità delle chiese locali, se sa essere grata delle ricchezze e dei tesori che le vengono apportati dalle varie culture e tradizioni, e riesce ad attuare lo scambio di tali ricchezze tra le chiese particolari, allora essa diventa davvero la chiesa in cui risplende “la multiforme sapienza di Dio” (Ef 3,10), “la multiforme grazia di Dio” (1Pt 4,10). 

 

D’altronde la teologia, la liturgia, la spiritualità, il diritto non possono essere elaborati e conosciuti soltanto a partire da un unico centro, ma dovrebbero poter accogliere i contributi di esperienza delle diverse chiese locali: esperienze vissute, condivise e anche corrette nel dialogo tra le chiese, in un confronto animato dallo Spirito di comunione. In un’epoca che rischia di confondere la globalizzazione con l’uniformità o di conoscere anche in ambito ecclesiale derive identitarie localistiche, il grande respiro della chiesa-comunione è anticipazione del raduno escatologico dei figli di Dio dispersi, è epiclesi di rinnovata Pentecoste!