Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Non è solo

26/04/2005 01:00

ENZO BIANCHI

Riviste 2005,

Non è solo

Agenzia SIR

Agenzia SIR, 26 aprile 2005

 

di Enzo Bianchi


Pastore e pescatore, collaboratore della nostra gioia, Benedetto XVI dice a tutti noi che la vita cristiana vale la pena di essere vissuta come vita libera, bella e buona

In questi primi giorni di pontificato, papa Benedetto XVI sta mostrando i tratti peculiari di Pietro, servo della comunione e pastore della chiesa: tutti i cattolici sono particolarmente attenti alle sue parole e ai suoi gesti perché ogni nuovo papa è una presenza attesa e ha un compito straordinario che segna il cammino della chiesa. Ma oggi c’è anche attesa da parte dei cristiani non cattolici che sentono il bisogno di una voce autorevole capace di chiamare all’unità visibile e di esprimere a nome di tutte le chiese la buona notizia di Cristo al mondo, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo. Domenica abbiamo potuto ascoltare l’omelia di Benedetto XVI al cuore della celebrazione in cui la chiesa lo ha riconosciuto, attraverso i segni del pallio e dell’anello del pescatore, come scelto dal Signore a succedere a Pietro: un’omelia che conferma nella fede e che, al contempo, collabora alla gioia dei cristiani, un’omelia autentica in ogni suo aspetto.

 

Come il giorno dopo l’elezione Benedetto XVI non aveva pronunciato alcuna omelia ma aveva lasciato il posto al silenzio, per poi esporre solo alla fine della liturgia il proprio programma papale, così alla messa di inaugurazione del suo ministero ha voluto fare un’omelia ricca del suo sensus fidei, una vera omelia mistagogica in cui ha deliberatamente evitato di delineare, come forse molti attendevano, il programma del pontificato. Sì, ogni cosa a suo tempo e al suo posto: il programma esposto ai cardinali che lo hanno eletto, mentre la chiesa nel suo insieme viene rimandata all’ascolto della parola del Signore. Del resto, come dimenticare le parole del cardinal Ratzinger che metteva in guardia i cristiani dal vivere di programmazione, dal moltiplicare attività, iniziative e impegni ecclesiali e li invitava invece a mettersi ogni giorno all’ascolto del Vangelo, in semplicità e obbedienza? (cf. Una compagnia in cammino).

 

Consapevole di questo, il papa ha ribadito: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la chiesa, della parola e della volontà del Signore”. Ha esordito con il riferimento alle litanie dei santi per unire la liturgia che si celebrava in piazza San Pietro alla liturgia del cielo: i santi i cui nomi vengono invocati sono con noi il corpo di Cristo, sono gli amici del Signore. Questa consapevolezza non ci permette di sentirci soli: noi e loro viviamo insieme nel Signore risorto un’unica comunione di santi! Sempre peccatori nel nostro pellegrinare verso il Regno, noi siamo santificati, fatti santi dal corpo e dal sangue di Cristo. Benedetto XVI sa che il compito che gli è stato affidato è immane, ma confessa: “non sono solo; non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo” e si dice consapevole che la preghiera, l’amore e anche l’indulgenza dei cattolici lo accompagneranno.

 

Forte di questa convinzione, il papa passa alla mistagogia, alla spiegazione dei gesti e dei segni con cui ha assunto il ministero petrino. La parola di Dio, presente nelle sacre Scritture e annunciata nelle letture della Messa, e la testimonianza dei padri della chiesa ispirano le parole del papa e nell’omelia si intrecciano affinché la Parola risuoni come parola del Signore “oggi”, affinché sia la Parola a spiegare e svelare ciò che gesti e segni vogliono dire, affinché sia la Parola a confermare nella fede i fratelli. Dalle parole dell’omelia emerge il proclamatore della Parola che ben conoscevamo attraverso i suoi scritti e la sua predicazione: con il suo spiccato sensus fidei che nutre il sensus ecclesiae ci fa passare dal pallio posto sulle sue spalle come giogo di Cristo alla missione di pastore. “Pasci le mie pecore!”, gli ha detto il Signore. E la risposta è “amare sempre di più il Signore, il suo gregge, la santa Chiesa, non fuggire davanti ai lupi … imparare a portarci e a sostenerci gli uni gli altri”.

 

Sì, sono molte le pecore smarrite che Cristo, il buon pastore deve cercare, trovare, caricarsi sulle spalle e riportare all’ovile dove c’è vita piena, protezione e custodia. Sono pecore smarrite in molti deserti, in svariate situazioni di oscurità e sofferenza: il deserto cresce sulla terra perché si è allargato il deserto interiore, nel cuore degli uomini, sempre meno convinti e assidui a trasformare la terra loro affidata in un giardino dove regni la comunione con Dio e l’armonia tra le creature. Il pastore buono è buono perché si è fatto agnello, si è messo dalla parte delle vittime della storia, ha voluto la solidarietà con le pecore fino alla morte violenta: l’Agnello è stato fatto pastore.

 

L’altro insegnamento mistagogico di Benedetto XVI verte sull’anello dell’umile pescatore di Galilea, quel Simone diventato, per volontà di Gesù, la Roccia, cioè Pietro. Pietro, il discepolo che sulla parola di Gesù getta la rete, Pietro che diventa il pescatore di uomini, il missionario tra i giudei e tra le genti pagane, Pietro che va in missione in obbedienza alla parola di Gesù e che ottiene una pesca abbondante… Nel commentare questo passaggio, come già del discorso di programma del pontificato, Benedetto XVI pone un forte accento sull’urgenza di giungere all’unità visibile dei cristiani e sull’impegno di riparare questa rete lacerata nel corso della storia. Il papa constata: “Amato Signore, la rete si è strappata!”, ma la promessa del Signore è più forte della nostra tristezza: “Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso!”. Ormai il successore di Pietro sente come suo il compito di “essere servo della comunione” anche tra le chiese e lo ribadisce con forza e convinzione come suo impegno primario.

 

Sì, pastore e pescatore, collaboratore della nostra gioia, Benedetto XVI dice a tutti noi che la vita cristiana vale la pena di essere vissuta come vita libera, bella e buona, come vita di amicizia in cui non c’è posto per la paura perché l’amore scaccia la paura: così la nostra gioia è confermata e resa più salda.