Agenzia SIR, 20 aprile 2005
di ENZO BIANCHI
In fondo il mondo aspetta con ansia dal successore del pescatore di Galilea una sola cosa: il Vangelo della pace e della misericordia
Era già successo per la morte di Giovanni XXIII e si è ora ripetuto con accenti anche inediti: al capezzale di papa Giovanni Paolo II morente non c’erano solo i cattolici e i cristiani in preghiera, ma anche molti uomini e donne appartenenti ad altre religioni, anch’essi in preghiera, e tantissimi altri che, pur incapaci a pregare, partecipavano nella tristezza a quell’evento. E così si può dire che in questi giorni, accanto ai credenti che pregano perché il Signore conceda alla chiesa cattolica un papa secondo la sua volontà, ci sono tanti uomini e donne che restano a loro volta in attesa, guardando all’evento dell’elezione con cuore fiducioso che anche le loro speranze possano lì trovare una risposta. Sì, dovremmo essere più consapevoli del fatto che il mondo ormai guarda al successore di Pietro come una voce che, nel suo esprimersi, lo riguarda, una voce che sovente dà voce all’impossibilità di molti a farsi sentire, una voce che si esprime per tutti senza mai cedere alla logica del “contro” alcuni.
Soprattutto nell’ultimo secolo, un secolo in cui si sono accumulate stragi, guerre, violenze, genocidi, la voce del papa si è levata sempre e con forza, cercando di parlare non solo ai potenti di questo mondo, ma anche – secondo un’espressione inaugurata da papa Giovanni – agli “uomini di buona volontà”. Certo, negli eventi che riguardano la vita del papa c’è stato e ci sarà un effetto creato dai media, ma è innegabile che oggi nel mondo sono molti coloro che si aspettano “qualcosa” dal papa. È un fatto unico, da assumere non con toni trionfalistici, ma con uno spirito ricco di ringraziamento al Signore che dà voce a chi annuncia, anche a caro prezzo, la buona notizia del vangelo agli uomini.
Ma cos’è questo “qualcosa” così atteso? Innanzitutto, la pace. E più sono poveri, più attendono la pace. Una delle ragioni per cui Giovanni Paolo II è diventato una presenza stimata, amata in tante popolazioni e culture è proprio il suo ministero di pace: è lui che ha impedito l’uso del nome di Dio nelle contrapposizioni politiche e nelle guerre, è lui che ha impedito lo scontro di civiltà, distinguendo il cristianesimo come religione di pace da un occidente che si dice cristiano, che è radicato nel cristianesimo ma che non è stato capace di pace. La pace che ha osato annunciare il papa è frutto della giustizia, di una giustizia in cui è presente l’istanza del perdono e della riconciliazione: quelli che su tutta la terra soffrono a causa della guerra hanno colto tutta la portata di questo messaggio del papa. Ed è allora normale che si attendano dal nuovo papa che prosegua con coraggio e profezia questo ministero della pace e quest’opera di riconciliazione.
Ancor più numerosi poi sono coloro che vivono in una situazione di ingiustizia, di oppressione, di povertà fino alla fame, fino alla morte per mancanza di medicine: costoro attendono che il papa sia l’avvocato dei poveri. Nei decenni passati, i poveri sono stati percepiti dalla chiesa come i primi destinatari per diritto del vangelo: per loro la chiesa si è impegnata in una scelta preferenziale e così oggi essi attendono dalle autorità della chiesa nuove vie, nuovi interventi, nuovi appelli che richiamino gli uomini alla fraternità, al riconoscimento della dignità e dei diritti di ogni essere umano. E qui la chiesa, attraverso il papa, deve avere il coraggio di esprimersi non solo con inviti, ma anche annunciando il giudizio come fece il suo Signore Gesù: nessuno spazio per nessun tipo di vendetta, ma un’esigente memoria dell’orizzonte del “giorno del Signore”, quando Gesù “verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti” in base al comportamento avuto verso il fratello povero, affamato, nudo, straniero, carcerato, in base all’accoglienza riservata all’ultimo.
Infine, un’ulteriore attesa, intimamente legata alla precedente: il mondo ha sete di un papa che sia ministro di misericordia e faccia crescere la chiesa nella misericordia. Abbiamo tutti bisogno della misericordia di Dio, anzi la misericordia è in verità l’unica cosa di cui abbiamo bisogno, perché è dal “cuore per i miseri” che possono sgorgare pace, giustizia, riconciliazione. Nella chiesa, che è comunità di peccatori sempre trasfigurata dal Signore in comunione di santi, abbiamo bisogno di percepire che il peccatore è comunque amato: lui, non il suo peccato; abbiamo bisogno vitale di sentire che il peccatore è cercato, che per lui i pastori sono pronti a lasciare nell’ovile gli altri novantanove che si ritengono giusti, che per lui ci si rallegra nel banchetto di festa… Una misericordia che possa diventare dinamismo di riconciliazione tra gli uomini e che permetta allo splendore della verità di non abbagliarli né di umiliarli, ma che li aiuti a volgere lo sguardo e la speranza verso Gesù mite e umile di cuore. Misericordia dentro e fuori la chiesa: certo, una misericordia a caro prezzo, come la grazia, ma capace di portare la buona notizia ai poveri e ai peccatori.
In fondo il mondo aspetta con ansia dal successore del pescatore di Galilea una sola cosa: il Vangelo della pace e della misericordia.