SIR, 12 dicembre 2001
di Enzo Bianchi
Ancora una volta, sì, ancora una volta le parole di Giovanni Paolo II – l’umile successore di Pietro sulla cattedra della Chiesa che presiede nell’amore – risuonano come profezia, annuncio schietto del Vangelo fatto con parresia e coraggio, a costo di dispiacere chi vorrebbe sì una voce religiosa a favore della pace, ma attenta ad accordarsi con le dominanti mondane. Chi, nelle settimane passate, avesse pensato che il papa non volesse più essere la voce evangelica che confessa Cristo come il Principe della pace e, quindi, la Chiesa come la “serva e ministra della riconciliazione e della pace”, ora si accorgerà di aver fatto supposizioni errate. Il messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace è interamente religioso, soltanto evangelico, per nulla politico: un discorso, dunque, profetico, cioè “voce”, eco della parola di Dio per la Chiesa e per il mondo!
Di fronte al mysterium iniquitatis che agisce efficacemente nella storia, in seno all’umanità e tra gli stessi cristiani – come il papa aveva ricordato ad Atene durante l’incontro con la Chiesa ortodossa greca – il cristiano sa, ha la consapevolezza che questo mistero di iniquità, nonostante la sua presenza mortifera, è stato vinto da Cristo risorto e che, dunque “non ha l’ultima parola nelle vicende umane” perché “la storia del mondo è sempre accompagnata dalla sollecitudine misericordiosa di Dio”. La Chiesa continua, anche dopo gli eventi dell’11 settembre, a essere invitata alla speranza. Essa sa di andare incontro al Signore che è venuto a portare la pace, sa che la pace alla fine sarà l’esito della storia di salvezza: sì, pace, shalom, vita piena, vita riconciliata, vita per sempre, nella tranquillità di una comunione non più contraddetta.
Ma il messaggio di Giovanni Paolo II non è solo un canto di speranza che riprende la grande tradizione cattolica, è anche un testo ricco di alcune novità, segno di quel cammino di maturazione voluto dallo Spirito santo che conduce la Chiesa sempre di più alla piena verità. Umilmente ma con forza, Giovanni Paolo II confessa: “ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica sono giunto alla convinzione che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono”. Se la Chiesa, con Paolo VI, aveva fatto risuonare con nuovi accenti che “opera della giustizia sarà la pace” (Is 32,17), ora la voce della Chiesa ridice non solo che opera della giustizia è la pace, ma che la giustizia è opera del perdono. Gli uomini hanno conosciuto, l’11 settembre, un’epifania del terrorismo mortifero, una manifestazione della violenza cieca e demoniaca, ma nemmeno a questi eventi si può contrapporre una giustizia umana sempre fragile e imperfetta: solo la giustizia esercitata e completata dal perdono appare evangelica ed efficace anche sul piano storico e umano. Sì, il perdono non si contrappone alla giustizia, come purtroppo è avvenuto in queste scorse settimane, ma è l’indicazione evangelica lasciata da Gesù ai suoi seguaci, è ciò che costituisce la “differenza cristiana” rispetto alla logica mondana. E, si badi bene, il perdono che chiede il papa non è solo quello personale, ma è quello sociale che deve essere praticato da famiglie, gruppi, stati, dalla comunità internazionale, i quali solo attraverso il perdono possono porre un fondamento saldo e vero per una società più giusta e solidale. Per questo è necessario mettere in pratica, instaurare nella cultura della società una pedagogia del perdono. Certo, “a breve termine, il perdono comporta un’apparente perdita, mentre la violenza opta per un guadagno a scadenza ravvicinata, ma prepara una perdita reale e permanente”.
Discorso meditato in prima persona, quello del papa, riflessione da vero successore di Pietro, servo della parola di Dio! Ecco perché il primo impegno per la pace è pregare, ecco perché il papa lo chiede per il 16 dicembre, in una intercessione accompagnata dal digiuno in solidarietà con i fratelli musulmani, e per il 24 gennaio, in una adunanza in cui gli uomini che cercano Dio a tentoni, nella loro ricerca chiedono a Dio il dono della pace e si impegnano affinché le loro relazioni siano ispiratrici di pace e non di guerra.